L’impatto con la vita marito-casa-famiglia non è stato un gioco. Mi cimentavo con la cucina, ma non avendo mai avuto niente del genere come mia diretta e totale responsabilità, avevo qualche problema. Primo tra tutti, le dosi. Preparavo quantità di cibo che sarebbe potuto bastare per una caserma.

Ricordo una sera a cena con Eugenio Tacchini, amico d’infanzia di Dario, avevo cucinato un bellissimo minestrone come tante volte avevo realizzato aiutando la mia mamma. Lui era entusiasta, ne mangiò almeno cinque fondine. Giuro, non esagero. Lo guardavo ingoiare un cucchiaio dopo l’altro a grande velocità… con una certa preoccupazione. “Basta, Eugenio, starai male!” “No, no. E’ buonissimo, poi oggi non ho fatto in tempo a mangiare…!” Poi però al cinema Orfeo, dove mi aveva accompagnato a vedere “Roma città aperta” – Dario stava recitando al Piccolo Teatro – durante la scena delle torture naziste è svenuto. “Accendete la luce – grido – c’è un ragazzo che sta male”. Arriva la polizia, lo portano fuori, nella hall lui si riprende… Si guarda intorno, vede i poliziotti, e ancora sotto lo shock del film, grida: “Non sono stato io! Sono innocente!” Volevo morire. Poi s’è alzato, è corso in bagno e ha vomitato tutto il mio minestrone.

Una pietanza che mi veniva benissimo era “gli ossibuchi” l’unica carne che io mangi. La prima volta che li ho cucinati, stando a filo telefonico diretto con mia madre, Dario non finiva più di dirmi “che buoni-che buoni”.

Poi, un giorno ha invitato i suoi amici di Brera, Emilio Tadini, Alik Cavaliere, Luigi Parzini e altri. Ero un po’ preoccupata. Un pranzo preparato tutto da me sola non l’avevo ancora gestito. Che preparo? Qual è il mio piatto forte? La frittata, le chiacchiere… e le uova sode… mmmmmm. Non ci siamo.

“Farò gli ossibuchi col risotto giallo… sarà una cannonata! – mi sono detta ottimista.” Ho iniziato a cucinare che erano le 9. “Pronto mamma… ho fritto olio, cipolla, aglio… e adesso che faccio?” E via… finalmente pronti!

Preparo la tavola con una bellissima tovaglia ricamata dalla mia mamma, servizio di piatti in porcellana avana pallida, listati con una riga d’oro e una blu… calici di cristallo di Murano, vino d’annata… posate d’argento, tutti regali di nozze. Innanzi ad ogni coperto un rametto di glicini raccolto nel giardinetto della mamma Fo: tutto meraviglioso da ammirare.

“Farò la mia bella figura” pensavo. L’ho fatta. Facevo andare il sedere dalla gioia… Dario la coda.

Tutti a farmi complimenti… che sposina deliziosa ti sei preso, Dario… sei veramente fortunato! “Basta o scoppio a piangere!” Sono una emotiva cosmica.

Si mangiavano i miei ossibuchi e commentavano la loro bontà, la morbidezza… “si taglian con la forchetta… oh che buon sughetto… che meraviglia di verdure…”

Mentre si lavavano i piatti in comitiva cantavamo a squarciagola in ringraziamento a mia madre che mi aveva insegnato la ricetta: “mamma, solo per te la mia canzone vola…” (che porta una sfiga tremenda, si dice, ma noi non lo sapevamo, allora…)

Visto il successo ottenuto con il mio pranzo, ho continuato per almeno tre settimane a cuocere ossibuchi. E il mio Dario sempre a dire – ma che buoni. Al ventesimo giorno: “Che mi ha cucinato il mio tesorino oggi?”. “Ossibuchi amore!… Perché ti sei ammutolito?!”. “Bastaaaaaaaa! Oggi si va a pranzo dalle sorelle Pirovini a Brera… Oggi inizia la rivolta contro gli ossibuchi. Da domani polenta!”

Un abbraccio e un bacio sul naso.

Ora, li mangiamo non più di cinque volte l’anno. Al “ma che buoni-che buoni” di Dario s’è aggiunto Jacopo. Lo dicono insieme e poi scoppiano a ridere.

Se vi fosse venuta voglia di ossibuchi con il risotto giallo alla milanese, ecco la ricetta….

Ossibuchi (per sei persone)

In una padella soffriggere sedano, carote, patate, cipolle, aglio non tritati, tagliati a tocchi, fino a dorarle, una spruzzata di vino bianco, lasciar cuocere bene, due colpetti di bastone magico, per renderlo cremoso, ma senza passarlo.

Tagliare la membrana che circonda l’ossobuco in due o tre punti di modo che non si arriccino cuocendo.

In un altro tegame: versare olio, prendere sei ossibuchi impanare nella farina bianca, lasciare dorare con un bello spruzzo di vino bianco, far asciugare, lasciare cuocere lentamente aggiungendo via via brodo o acqua bollenti. Farli cuocere a lungo. Aggiungere scorza di limone, grattugiata o a scaglie, in abbondanza. Dopo almeno un’ora e mezza posare gli ossibuchi nelle verdure. Lasciar cuocere per un’altra mezzora. Devono essere talmente ben cotti da diventare morbidi tanto che si possano tagliare con la forchetta. Servire con risotto giallo.

Risotto giallo (6 persone)

Soffriggere in olio la scigula (cipolla). Una volta imbiondita, aggiungere tredici pugni di riso (due a testa e uno per la pentola). Far tostare il riso almeno per cinque minuti. Coprire con vino, lasciarlo asciugare lentamente. Aggiungere tredici mestoli di acqua bollente (e sale), o brodo di carne, con due bustine di zafferano, dopodiché si copre con il coperchio della pentola a pressione. Da quando fischia, contare sei minuti, far uscire il vapore, aprire e aggiungere latte, parmigiano abbondante e poi ci si mette una noce di burro.

E buon appetito

Articolo Precedente

“Italica 150”, viaggio
al cuore degli italiani

next
Articolo Successivo

Anche Raffa pro-referendum
Com’è bello votare da Trieste in giù

next