Adesso Mario Draghi sente che la meta è davvero vicina. Sospeso tra la stima generale e la minaccia occulta del veto dell’Europa che conta, il numero uno di Bankitalia ha incassato ieri un sostegno probabilmente decisivo nella sua corsa al vertice della Bce. Nella conferenza stampa che ha chiuso il tesissimo vertice italo-francese, il capo dell’Eliseo non ha usato mezzi termini nel sciogliere le riserve su quello che da molti, ormai, è considerato l’unico candidato credibile alla successione di Jean-Claude Trichet. “Appoggiamo la candidatura di un italiano alla presidenza della Bce – ha affermato Sarkozy – non lo facciamo perché è italiano ma perché è una persona di grande qualità. In più è italiano”. Un’uscita che sorprende, indubbiamente, non tanto per i contenuti quanto piuttosto per la forma. Una dichiarazione diretta, senza indugi, che sa tanto di investitura anticipata. E che crea, difficile dubitarne, non poco imbarazzo a chi fino ad oggi aveva conservato un certo distacco diplomatico: il cancelliere tedesco Angela Merkel.

Già, perché il tema Bce non avrebbe dovuto occupare di certo un posto di rilievo all’interno di un meeting destinato a coinvolgere temi percepiti come molto più urgenti. Solo che alla fine, dopo un’intensa discussione capace di spaziare dalla Libia al Trattato di Shengen, passando per i latticini e le centrali nucleari, il nome di Mario Draghi è emerso, forse, come la chiave di volta di tutta la trattativa. Il premier italiano torna a sostenere apertamente il nucleare, per la gioia degli operatori del settore Enel ed Edf, smentisce la linea di Giulio Tremonti benedicendo, di fatto, la scalata a Parmalat di Lactalis e rassicura, infine, il collega francese sul sostegno italiano alla linea dura con Gheddafi. Tre operazioni che scontentano apertamente la Lega e il ministro dell’Economia e che, in definitiva, trovano una contropartita solo ed esclusivamente nel nulla osta francese al numero uno di Via Nazionale.

L’intesa Roma-Parigi ha un impatto non certo trascurabile. L’asse monetario tra la Francia e la Germania si indebolisce lasciando in una posizione critica proprio Angela Merkel. Lo scetticismo lasciato trapelare dal cancelliere sulla scelta di Draghi (con silenzi piuttosto evocativi) rischia ora di tradursi in un complesso isolamento. Qualche tempo fa, avevano riferito fonti vicine al governo di Berlino, persino il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble aveva dato il via libera alla promozione di Draghi ma l’eventuale opposizione sull’asse Merkel-Sarkozy alimentava ancora l’ipotesi del veto. Proprio per questa ragione, non molto tempo fa, qualche osservatore aveva addirittura sostenuto la possibilità di una scelta di compromesso che avrebbe finito per premiare il lussemburghese Yves Mersch, uomo, si dice, vicino ai falchi della Bundesbank e sponsorizzato apertamente dall’ex cancelliere di Berlino Gerard Schroeder. Un’ipotesi che ora sembra davvero lontana.

“La Merkel sta affrontando un vero dilemma – ha dichiarato a Bloomberg il capo economista dell’area euro di Citigroup Juergen Michels – . Il problema è se il cancelliere possa vendere al pubblico tedesco l’idea che un italiano al timone della Bce rappresenti una garanzia di stabilità”. La storia, insomma, è sempre la stessa. I tedeschi sperimentano il ritmo di crescita più alto degli ultimi vent’anni, come a dire che non dai tempi della riunificazione non se l’erano mai passata così bene. Non stupisce, dunque, che nessuno abbia intenzione di caricarsi sulle spalle il peso del salvataggio delle periferie europee. La Merkel lo sa perfettamente e, con ogni probabilità, condivide il principio di fondo. Ma sul fronte interno pesa la pressione delle banche locali che sui titoli delle nazioni a rischio (Grecia e Irlanda soprattutto) sono esposte in modo considerevole. Nella gestione del compromesso, il via libera ad un italiano sul fronte Bce complica inevitabilmente tutto quanto.

Difficile dire quale sia oggi lo spazio di manovra del cancelliere. Nessuno sa tuttora con certezza se l’uscita di Sarkozy l’abbia colta di sorpresa o meno, ovvero, altre parole, se il presidente francese abbia ritenuto opportuno informare preventivamente la Merkel della sua decisione prima di comunicarla alla stampa. Un mistero che sarebbe interessante risolvere al più presto per valutare l’attendibilità dell’ipotesi di un ridimensionamento del potere contrattuale di Berlino in sede Ue. Di certo, resta al momento l’inequivocabile dato di fatto dell’isolamento del cancelliere in una trattativa di successione all’istituto centrale che, forse, si è già completamente risolta. Alla decisione definitiva mancano ancora due mesi, ma per molti l’esito è già scontato.

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