Devastazione del territorio, discariche, inquinamento e rumore, in cambio di uno svincolo autostradale, un depuratore, la bonifica e riqualificazione delle aree di discarica e gli indennizzi per gli espropri. “Un vero e proprio ricatto”: così la rete No Ponte definisce l’accordo per la costruzione dell’opera sullo Stretto raggiunta dal comune di Messina e dai rappresentanti della Stretto di Messina spa e del contraente generale Eurolink (associazione di sette imprese guidata da Impregilo). L’intesa, che per il Comune è un formale “accordo procedimentale” che accelera la procedura per l’avvio dei lavori preliminari alla costruzione, è stata definita formalmente, ma non è ancora operativa: riguarda l’alloggiamento dei cantieri, la gestione delle terre da scavo e dei siti di stoccaggio, la realizzazione delle opere di riqualificazione ambientale dei siti e la loro destinazione all’uso pubblico, e infine gli espropri, che interessano circa 500 soggetti tra semplici cittadini e società.

Secondo il movimento No Ponte, quella offerta dalle imprese costruttrici è una “compensazione ricattatoria. Accettare di trasformare la città per anni in un mega-cantiere, dagli effetti inimmaginabili per la vita di oltre 200mila persone – spiega Luigi Sturniolo, uno dei fondatori del movimento – è il segno della debolezza e povertà delle amministrazioni locali: si cerca di ottenere in altro modo ciò che non è possibile fare con il bilancio ordinario”.

Di accordo importante parla invece Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina spa: “Offre al territorio una significativa opportunità di recupero ambientale ed idrogeologico di un’area compromessa che sarà restituita alla sua originaria destinazione agricola”.

Ma Sturniolo non ci sta: “È quantomeno strano l’ottimismo di Ciucci – replica – visto che si stanno pianificando discariche per il materiale inerte in un territorio che, come è noto a tutti, è fragile sul piano idrogeologico e dove ci sono decine di aree di impluvio. Parlare addirittura di ‘recupero ambientale’ mi sembra discutibile». La frequenza delle frane sul versante tirrenico di Sicilia e Calabria non è una novità e questo punto, sottolineano gli oppositori del ponte, potrebbe rivelare l’insostenibilità del progetto già nel primo anno di lavori. Un argomento oggi più che mai attuale, dopo l’alluvione dell’1 marzo che ha devastato Camaro Superiore e Mili San Pietro (100 milioni di danni e nessuna vittima, ma solo per caso), frazioni di Messina non lontane da Giampilieri, teatro della drammatica alluvione dell’ottobre 2009. “L’ennesimo episodio che dimostra come bisognerebbe utilizzare il denaro pubblico – sostiene Sturniolo – e cioè spostando le risorse destinate al Ponte per rispondere alla richiesta di sicurezza degli abitanti delle zone a rischio sismico e idrogeologico. Solo nel 2010, per il Ponte sono già stati sperperati 110 milioni di euro per trivellazioni e progettazione definitiva”.

Pubblici sono finora gli unici soldi stanziati per il Ponte: 1,3 miliardi di fondi Fas. Soldi stanziati ma comunque non disponibili, come conferma la relazione della Corte dei Conti del 15 dicembre 2009. “La maggior parte della spesa sarà però finanziata dai privati (60% del totale secondo lo schema del project financing), che ovviamente non hanno intenzione di investire nella sicurezza del territorio, per loro non redditizia”, spiega al Fatto il sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca. Eppure nel libro L’insostenibile leggerezza del Ponte, Domenico Marino, professore di politica economica all’Università di Reggio Calabria, non solo ricorda che al momento non ci sono ancora privati disposti a mettere mano al portafoglio (i pochi finanziatori interessati, negli anni, si sono mostrati attendisti), ma documenta la scarsa redditività del Ponte. La sua analisi è basata sui dati del Golden Gate bridge di San Francisco, che pur essendo indispensabile al traffico cittadino, chiude i suoi bilanci sempre in perdita (nel 2009, 20 milioni di dollari). Nella migliore delle ipotesi, a Messina solo dopo 40 anni gli investitori porterebbero i conti in pareggio.

D’accordo con le previsioni di Marino è Marco Brambilla, ingegnere al Politecnico di Milano e autore di uno studio su costi-benefici del Ponte sullo Stretto: “In caso di concessione trentennale l’indicatore di convenienza economica resta negativo – sottolinea – e solo nell’arco di 50 anni, e in caso di eccezionali e favorevoli condizioni, si ha un’inversione di tendenza”.

Ad ogni modo, nel caso in cui la Stretto di Messina spa non riuscisse a finanziare l’opera con i flussi di cassa e i ricavi generati dalla gestione entro il limite della concessione, lo Stato farebbe da garante. Il rischio è che l’intera opera risulti in gran parte (o del tutto) pagata dallo Stato, soprattutto dopo la modifica alla legge sul project financing che ha eliminato il limite del 50% del contributo pubblico per ogni opera finanziata.

Intanto il fronte del dissenso, pur rimanendo ampio in una parte della popolazione, ha ormai perso molti degli amministratori locali su cui poteva contare fino a qualche anno fa, oggi quasi tutti schierati a favore della grande opera. “Prima eravamo ancorati su posizioni ideologiche – continua il sindaco di Messina – mentre ora siamo più responsabili. Non ci si può opporre a una legge dello Stato e ora ogni sindaco deve cercare di dare quanto più può alla propria comunità. Il ponte attrarrà il 20% di tutti i turisti che ogni anno visiteranno l’Europa e sarà un volano di sviluppo per tutto il meridione”.

A dicembre del 2010 il contraente generale Eurolink ha consegnato il progetto definitivo alla Stretto di Messina spa, che dovrebbe approvarlo entro il mese di maggio. Poi sarà la volta del Cipe, a cui tocca l’approvazione finanziaria, auspicata per settembre dal ministro dei Trasporti Altero Matteoli. Solo allora si potrà procedere con l’avvio dei lavori preliminari, in attesa del progetto esecutivo. Ma rimangono le perplessità su un’opera ritenuta superflua dai molti che la considerano dannosa per l’ambiente e troppo costosa. Obiezioni che si aggiungono ai ragionevoli dubbi sulla sua fattibilità tecnica in una zona ad alto rischio sismico (anche se il progetto assicura una tenuta della struttura fino a 7,1 gradi Richter): il ponte sullo Stretto, se realizzato, avrà una campata unica di 3.300 metri, la più lunga mai realizzata nel mondo, il 60% in più di quella del ponte di Akashi-Kaykyo (1.991 metri) in Giappone, che oggi detiene il primato.

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