“Una settimana prima della strage di Capaci, Giuseppe Graviano mi disse di non passare dall’autostrada. Compresi l’avvertimento dopo che avvenne l’attentato. Lo stesso per la morte del dottor Borsellino”. Questo uno dei passaggi dell’interrogatorio reso ai magistrati di Firenze da Fabio Tranchina, 40 anni, ex autista del boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano. L’uomo, fermato martedì scorso a Palermo con l’accusa di associazione mafiosa e per aver preso parte alla strage di via d’Amelio, aveva iniziato a collaborare con i pm fiorentini sabato notte. Il giorno successivo, dopo la visita della moglie e di un cognato, aveva ritrattato, interrompendo la collaborazione. Ma alcuni passaggi dei suoi racconti diventano oggi più attuali che mai.

Dopo che una perizia calligrafica ha sconfessato parte delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il testimone principale della trattava tra Stato e mafia, arrivano gli stralci dei discorsi di Tranchina. “I Graviano dopo l’arresto di Riina hanno portato avanti le stragi per trovare una trattativa con lo Stato”, avrebbe detto l’uomo ai magistrati di Firenze. E ancora: “Il giorno dell’arresto di Riina ricordo che Giuseppe Graviano mi disse che ci sarebbe stata una guerra, nel senso che come fare le leggi glielo dovevano fare capire loro, anche se avevano le loro assicurazioni. Ricordo che alle elezioni venivano indicazioni di voto per Forza Italia“. Un passaggio è anche dedicato a Marcello Dell’Utri, citato dallo stesso Ciancimino. “Quando a suo tempo mi fu chiesto di Dell’Utri, ne parlai anche con Cannella e con mio cognato e questi mi fece capire di non parlarne, facendo un gesto eloquente con la mano davanti alla bocca”. Graviano invece, ammette Tranchina, non ha mai fatto il nome del senatore, “però con frasi del tipo: ‘noialtri le persone le abbiamo o fanno quello che gli diciamo o noi gli rompiamo le corna’, mi faceva comprendere”, aggiunge.

Dopo queste iniziali -dichiarazioni, non è un caso che i magistrati colleghino la visita dei parenti al passo indietro di Tranchina. La moglie è infatti la sorella di Cesare Lupo, fedele ai fratelli Graviano e – come ha raccontato Tranchina stesso nell’aula bunker di Firenze – membro di un triumvirato con Giuseppe Faraone e Antonino Sacco che gestisce il Brancaccio insieme “all’attuale capo mandamento Giuseppe Arduino”, scelto dagli stessi fratelli che, nonostante l’arresto nel 1994, secondo Tranchina deciderebbero ancora gli assetti mafiosi della zona.

Sulla posizione dell’ex autista di Graviano indagano adesso altre due procure, oltre a quella di Firenze: Palermo per l’ipotesi di reato di associazione mafiosa e Caltanissetta per l’eventuale partecipazione alla strage che uccise il giudice Paolo Borsellino. Il gip palermitano Piergiorgio Morosini ha oggi convalidato la custodia cautelare in carcere per Tranchina, dopo aver rimandato il suo interrogatorio di un paio d’ore per un doppio tentativo di suicidio. L’uomo avrebbe motivato al giudice il suo passo indietro a Firenze con delle presunte pressioni ricevute da parte della Dia per una sua collaborazione. La moglie, prima di raggiungerlo domenica da Palermo, ha anche presentato una denuncia per sequestro di persona. “Il 16 aprile”, racconta il legale di Tranchina, Giovanni Castronovo, “la donna, dopo averlo visto andare via con gli uomini della Dia, non ha più avuto notizie del marito e dopo varie telefonate a carabinieri e polizia ha sporto denuncia”.

Sfuma così l’ipotesi di un interrogatorio congiunto, formulato dalle tre procure interessate. Eppure, per i magistrati fiorentini, a giudicare dai contenuti dell’incontro propedeutico avuto con il fedelissimo di Graviano, di cose da raccontare ne avrebbe avute. “Prima dell’attentato, più volte (Giuseppe Graviano, ndr) mi fece passare da via D’Amelio riaccompagnandolo e io non capivo cosa dovesse vedere”, ha raccontato ancora Tranchina sabato scorso, “Poi mi chiese di trovargli un appartamento in via D’Amelio, ed infine, visto che non l’avevo trovato, ebbe a dirmi che allora si sarebbe messo comodo nel giardino. In via D’Amelio, dove è avvenuta la strage, in effetti c’era un muro e un giardino. La mattina della strage lo consegnai ad altra persona e poi seppi che era avvenuto l’attentato”.

Non solo via d’Amelio. Tranchina avrebbe raccontato di un metodo generale. L’autista del boss non ricorda esattamente quando, dopo la strage di Capaci e prima o dopo quella di via d’Amelio, Graviano lo avrebbe spedito a compare un telecomando Uht, ufficialmente da utilizzare per far funzionare un cancello automatico. “Mi mandò da ‘Pavan’ a Palermo e costò un milione e 400 mila lire o 1 milione e 600 mila lire”, racconta Tranchina, “Mi disse di non dare il mio nome e infatti dissi al negozio che mi chiamavo Terrano o simile. Questo fatto dell’acquisto dei telecomandi lo sappiamo solo io e Giuseppe Graviano”. Ma il boss evidentemente si fidava abbastanza del suo autista, tanto da spiegargli che i telecomandi sarebbero stati modificati e, prosegue Tranchina, “erano ottimi finché non li trovavano”. “Io chiesi come fosse possibile che qualcuno li trovasse se li consegnavo a lui”, aggiunge, “E lui rispose che magari potevano non funzionare e quindi essere ritrovati se non scoppiavano. Da qui ho capito che servivano per degli attentati”.

Ma Fabio Tranchina non parla solo del passato mafioso. Pur non definendosi un uomo d’onore – sostiene di non avere mai prestato “rituale giuramento di adesione a Cosa nostra” – conosce e racconta ai magistrati fiorentini molti dettagli sugli attuali assetti di Brancaccio. Informazioni avute non solo dalla vicinanza con i Graviano. “Capita che mangio a casa di mio cognato”, spiega Tranchina, “Arduino ha l’Ag trasporti e mio cognato lavora lì, all’amministrazione, come pure Marcello Tutino, il fratello di Vittorio, che lavora in magazzino. Mio cognato sa molte cose e prima sicuramente si occupava degli affari dei Graviano, adesso non lo so”.

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