Un’azienda di imballaggi a Fidenza, provincia di Parma. Una cooperativa di giardinaggio a Messina, e poi una merceria e una agenzia di viaggi. Sono, elenco telefonico alla mano, alcune delle sedi di “Pdl – al servizio degli italiani”, l’ultima arma politica inventata e sbandierata dal ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla.

Dopo i circoli e i promotori della libertà, sabato scorso di fronte alla platea dell’Eur il “cane da polpaccio” del premier, come lui la definì, ha presentato le prime mille sedi. Una via di mezzo tra Caf e patronati, una serie di sportelli destinati, nelle parole del ministro, a “gestire gratuitamente i servizi sociali a favore dei cittadini, al posto di una burocrazia costosa e ritardataria”. Servizi che coprono praticamente qualsiasi cosa, quasi una società parallela dentro la società intera. “Intendiamo rafforzare ancora di più il legame che ci unisce ai cittadini e alle famiglie. Sulla strada del radicamento del Popolo della Libertà nell’intero territorio nazionale”.

Nella povertà del dopoguerra napoletano Achille Lauro divenne sindaco donando la scarpa sinistra prima delle elezioni e promettendo la destra a conti fatti. Cinquant’anni dopo la campagna del presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo è passata anche attraverso i patronati del lavoro di Catania che esponevano i simboli del futuro governatore (e perché no – come documentò Exit – consegnavano le buste della spesa ai bisognosi). Nell’epoca delle iniziative movimentiste targate Pdl, il ministro del Turismo ha cercato di unire il populismo del primo e la sostanza del secondo.

Il sistema è semplice: i cittadini si affidano, ottengono un servizio gratuito, votano. Per l’occasione il ministro ha usato toni altisonanti: “Pdl – al servizio degli italiani rappresenta nei fatti una vera e propria rivoluzione liberale. È l’attuazione concreta del principio di sussidiarietà previsto dalla Costituzione”.

Ma le cose non stanno esattamente così. Innanzitutto le sedi: Brambilla ne aveva promesse mille il primo marzo, più o meno quante ne hanno Cgil e Cisl, per intendersi. Alla fine ne ha presentata persino qualcuna in più. Secondo il sito dell’iniziativa, un successo dovuto alla grande mole di partecipazione popolare: una rete di professionisti animata dalla volontà di fare del bene alla collettività. Ma non c’è solo quello: tra le sedi dei servizi risultano, infatti, anche società che con l’erogazione dei servizi non hanno niente a che fare: oltre alla merceria e alla cooperativa di giardinaggio, ad esempio, anche un grossista di abbigliamento in provincia di Perugia e una ditta di poste private.

In realtà, poi, molte delle sedi esistevano e operavano prima dell’avvento dell’iniziativa: fanno riferimento ad un’altra rete, i Centri di assistenza fiscale della ConfLavoratori, Caf con sede a Palmi (Rc) gestita da Giuseppe Carbone, segretario nazionale di ConfLavoratori, sindacato in vero assai misconosciuto. Basta incrociare le sedi dell’una e dell’altro per vedere che la sovrapposizione è pressoché completa.

Diversamente del resto non potrebbe essere, visto che Carbone è consigliere d’amministrazione di “Al servizio degli italiani Srl – in breve Asdi”. Dal canto suo Brambilla non compare in nessuna dicitura legale dell’Asdi Srl. È, invece, solo presidente della associazione che vi fa capo, senza alcun mandato esecutivo. In compenso, assieme a Carbone in cda siedono la cugina acquisita del ministro, Renata Pizzamiglio, e la sua portavoce, Laura Colombo. A completare la squadra ci sono poi l’amministratore di ConfLavoratori, Domenica Bagala’ e la deputata Mariarosaria Rossi. Quella che nelle carte del caso Ruby viene intercettata mentre dice a Emilio Fede: “Ah che palle che sei, due amiche, quindi bunga bunga, due de mattina, io ve saluto eh?!”. Di Carbone, invece, si sa che è tra i fondatori del Club della Libertà a Palmi insieme a Bagala’ e che nel 2009 gli fu sequestrato un complesso abitativo di circa 4mila metri quadrati costruito abusivamente – dice la procura – e per giunta in zona sismica.

Ma torniamo ai Caf. Qui si svela il secondo bluff della “rivoluzione liberale” prospettata dal ministro Brambilla. Con buona pace della sbandierata sussidiarietà, i servizi erogati li pagava e li pagherà proprio lo stato, leggi i contribuenti. Esattamente come accade con tutti gli altri Caf, a prestazione erogata corrisponde rimborso: 16,03€ per un 730, 13€ mediamente per un Isee, 8€ per un Red. Tutti servizi che sulla carta il Pdl propone di offrire. E per giunta su larga scala. Tanto per dare un’idea, Cgil e Cisl, i due più grandi fornitori di servizi fiscali, veleggiano sui 5/6 milioni di pratiche all’anno. Nel caso della Cgil, i 730 da soli sono circa tre milioni all’anno, vale a dire circa 50 milioni di euro.

I due sindacati maggiori non sembrano preoccupati della concorrenza. “Parliamo di cose serie – obietta il presidente dei Caf Cisl, Valeriano Canepari – per offrire un servizio bisogna anche essere in grado di svolgerlo. Non è solo questione di quanti sportelli hai, ma di professionalità, tempo; per gestire una rete di questo tipo bisogna essere precisi come degli orologi”. Senza contare, specifica Canepari, che i rimborsi tardano molto ad arrivare, in media almeno un anno.

L’obiezione è pertinente: come fa una struttura organizzata in quattro e quattr’otto ad offrire un servizio all’altezza della mirabolante offerta? Vale la pena di sottolineare però che un successo dell’iniziativa converrebbe economicamente a tutti i soci. Difficile spiegare in altro modo la partecipazione di Francesco Casaburo al meeting romano dello scorso sabato. La sua presenza – scoperta dal sito napolimetropoli.it – ha destato la curiosità dei giornali. Perché Casaburo è il capogruppo del Pd a Caivano, comune dell’hinterland napoletano. Che ci faceva a Roma con il ministro Brambilla, si è chiesto il Corriere del Mezzogiorno? Lui ha risposto: “Ero lì per lavoro”, seccato di doversi giustificare con il suo partito e “pronto a lasciare di fronte all’imbarazzo” democratico. Le voci si sono subito diffuse: “Casaburo lascia”, “Casaburo va con il Pdl”. Sarà, ma la realtà è che Casaburo non ha mentito, e che la politica per una volta non c’entra niente, visto di Giuseppe Carbone è socio per davvero: consigliere di Caf Conflavoratori. Il denaro, del resto, è bipartisan per natura.

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