Per la nostra moderna borghesia progressista i filippini sono bravi a pulire le case. Per chi gira un po’ il mondo e osserva i confini oltre Monfalcone ecco sbucare dei filippini geni del cinema. Ai più Lino Brocka non dice nulla, ma fa niente. Da martedì 19 alle ore 22e15 (cinema Lumiere, via Azzo Gardino 65, Bologna), potete rimediare con il primo film della retrospettiva dedicata a Brillante Mendoza, al paio con Lav Diaz, autentica punta di diamante del cinema filippino contemporaneo a cui dedichiamo l’apertura del nuovo Fab Four. Il primo appuntamento è con Kinatay, film del 2009 che guarda caso si è guadagnato il premio per la miglior regia al festival di Cannes dello stesso anno. Realismo estremo per raccontare l’iniziazione al lavoro per un poliziottino novizio alle prese con la brutale regolarità delle rese dei conti tra forze dell’ordine e gang locali. Incipit lindo e mite all’altare di un matrimonio, mezzo film quasi al buio per trasportare in auto una prostituta in un luogo segreto dove verrà uccisa, seconda metà in attesa dell’esecuzione che poi arriva tremenda e granguignolesca. Altri titoli della rassegna: Serbis, Tirador, Masahista e Lola. Ma continueremo a segnalarli.

Quando si dice che la distribuzione italiana non mostra nemmeno nelle sale d’essai i migliori titoli prodotti in giro per il mondo, Eyes Wide Open dell’israeliano Haim Tabakman è uno di questi. Tormentata passione tra Aaron, macellaio ebraico ultraortodosso con famiglia e prole, e il giovane studente Ezri, estemporaneo passante, poi futuro commesso del negozio. Ang Lee con Brokeback mountain ci ha insegnato che bastano un paio di sguardi ben assestati e non c’è bisogno della santa madre porno. Tabakman impara la lezione e impasta sacralità della tradizione con la naturale istintività della carne. Ne esce una bomba di film che lascia interdetti per forza di rappresentazione e lucidità espressiva. Imperdibile ai Teatri di vita (via Emilia Ponente 485) martedì 19 aprile, alle 21.

Nel confortevole torresotto della mazziniana Giovane Italia di Parma (via Kennedy, 7), mercoledì 20 aprile alle 21, suonano i romagnoli Nobraino. Li avrete visti dalla Dandini a Parla con me più volte, ma rimangono ancora musicisti indipendenti al mille per mille. Alti alti come i watussi di Edoardo Vianello, i Nobraino (Lorenzo Kruger, voce; Nestor Fabbri, chitarra; Bartok, basso; il Vix, batteria) erano una squadretta di basket di provincia che perdeva ogni match. Giocoforza, verità o leggenda che sia, darsi all’ippica anzi alla musica, provando proprie composizioni nella palestra degli allenamenti. Così nel 2006 esce già un The best of e questa curiosa miscela tra swing e rock conquista anime e folle ben oltre la Romagna. I Nobraino dal vivo curano la mise en scene: i passi e i gesti da mago di Kruger, l’abbigliamento tra Karl Valentin, Charlot e i Drughi di Arancia Meccanica, fino all’arrangiamento fiati (il trombone de il Duca d’Abruzzo). In tour stanno portando il nuovo lavoro No USA! No UK! supervisionato da Giorgio Canali e edito da MArteLabel.

Dalla e De Gregori, De Gregori e Dalla. Come Dolce e Gabbana, uno piccino ed estroverso, l’altro spilungone e più riservato. Il concerto è l’ulteriore tappa del Work in progress tour (martedì 19 e mercoledì 20 al Teatro Europauditorium, Piazza della Costituzione 4, Bologna) che poi dovrebbe confluire nel concertone del primo maggio con Gino Paoli ed Ennio Morricone. Il palco, nonostante il lavoro in progressione, è collaudato: Dalla svisa col clarinetto sulle note del Titanic, De Gregori intona l’armonica sulle sgommate di Nuvolari. Anche se i due, proprio come lo yin e lo yang, si fondono e compenetrano ricordandoci libertà e improvvisazione di Come fanno i marinai. Una madaleine proustiana alla stato puro.

Ci sono anche…

In ben 39 sale dell’Emilia-Romagna (difficile elencarle tutte), grazie ad un buon accordo distributivo Rai Cinema-Fandango, c’è il papa indeciso ideato da Nanni Moretti. Habemus Papam vi attende al cinema con tutta la sua surreale, apparente indeterminatezza. Il contemporaneo morettiano è una strada lastricata di riflessione più che di comicità, di assenza del proprio corpo d’attore (come nel Caimano del resto) piuttosto che di una sua presenza. Così il papa che non hai mai visto, che rinuncia allo scranno di Pietro per inadeguatezza psicologica autocertificata, è un’analisi ancor più spietata su cosa significhi prendersi una responsabilità davanti ad una popolazione assetata di fede, o anche solo di senso, in questo evo moderno di falsi e sciamannati profeti . Magari è il film che non t’aspetti da Moretti, ma di intellettuali come Nanni, avercene avuti un po’ di più, non ci avrebbe fatto di certo male.



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