La seconda intimidazione in pochi mesi. Una busta chiusa con un proiettile calibro 9×21 perfettamente integro, e una croce disegnata su un foglio bianco. È l’ultimo “regalo” che i soliti ignoti hanno spedito al giornalista della Rai Riccardo Giacoia, da molti anni inviato del Tgr della Calabria e in procinto di trasferirsi a Roma dove, da pochi giorni, ha firmato un contratto con il Tg1.

Nessun biglietto, ma il messaggio era chiaro in una terra dove la ‘ndrangheta si mescola a gruppi di potere che non hanno contorni ben definiti. Giacoia si occupa di servizi sulla criminalità organizzata e recentemente ha scritto della polemica sull’Affruntata, la coinvolgente rappresentazione religiosa, ricordata in molte piazze calabresi, tra la Madonna ed il Cristo risorto, mediata da San Giovanni: la statua di quest’ultimo, veniva portata a spalla per le strade di Sant’Onofrio dai nuovi “battezzati” della cosca Bonavota.

‘Ndrangheta e riti religiosi, in Calabria le processioni organizzate dalla Chiesa spesso diventano manifestazioni cariche di quei simboli di cui gli uomini d’onore si sono sempre voluti fregiare per rendere più saldo il loro rapporto ancestrale con il territorio.

È proprio per questo, nei giorni scorsi l’avvertimento del prefetto di Vibo Valentia Luisa Latella ha stordito chi credeva quella processione un “privilegio” acquisito dalle ‘ndrine. “Se ci saranno ulteriori minacce da parte della ‘ndrangheta, – aveva dichiarato il prefetto – le statue della processione dell’Affruntata a Sant’Onofrio saranno portate dalle forze dell’ordine e dai vigili del fuoco”.

Il collega Riccardo Giacoia aveva ripreso la notizia dandone risalto nel corso del telegiornale. Come ha sempre fatto, senza sconti o riguardi lessicali per le famiglie mafiose per le quali la tradizionale “Affruntata” è un appuntamento annuale in cui dimostrare a tutto il paese di avere quel consenso che, in certe zone della Calabria, viene confuso ed è sinonimo di timore, paura, reverenza e omertà.

Già il 15 luglio dello scorso anno, una lettera di minacce era stata recapitata al giornalista. “Caro amico nostro che sai tutto di noi della mafia, che usi i termini che vuoi lui sulla mafia e noi, sempre per telegiornale a commentare i morti nostri ‘stai attento”. Il tono utilizzato “dagli amici” non lasciava adito a dubbi. Gli stessi amici probabilmente che cercavano di intimidirlo, in quei mesi, tramite sms sul proprio telefonino.

Stamani la busta con il proiettile, tra la posta che Giacoia ha trovato sulla sua scrivania, dopo essere stato qualche giorno a Perugia ospite del Festival internazionale del giornalismo. Nella busta c’era un francobollo ma nessun timbro postale, il che potrebbe voler dire che è stata recapitata a mano alla portineria della sede Rai di Cosenza.

La squadra Mobile ha avviato le indagini per capire gli ambienti nei quali potrebbe essere maturata l’intimidazione. Informata la Procura della Repubblica, la polizia ha sequestrato la busta e nei prossimi giorni la scientifica effettuerà i rilievi sul proiettile e sul foglio A4.

“Mi sono occupato recentemente del clan Bonavota del vibonese, e ancora prima di San Luca. – è un Giacoia tranquillo all’uscita dalla questura – Ma anche di omicidi e fatti di sangue che sono avvenuti di recente in Calabria. Naturalmente non posso sapere chi intende intimidirmi. So cosa ho scritto nelle ultime settimane e ho riferito al capo della squadra Mobile. Al momento – conclude il giornalista della Rai – non credo ci siano collegamenti con le altre minacce. Aspettiamo le indagini”.

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