Morire per un addome perforato o rischiare di farlo per una garza dimenticata in pancia. E’ capitato all’ospedale di Rho in provincia di Milano. E il caso non è passato inosservato. Tanto da aver catturato l’attenzione degli investigatori del commissariato locale. Che iniziano a indagare basandosi sulle dichiarazioni di un medico interno al reparto numero cinque. Lui parla e riempie decine di pagine di verbale. Mettendo uno dietro l’altro episodi di malasanità. Il fascicolo viene aperto. Inizialmente a carico di ignoti. Due i reati: omicidio colposo e lesioni gravissime.  Oggi, in calce all’inchiesta ci sono tre nomi degli indagti. Su tutti quello di Antonio Pallino, l’ex primario del reparto. Pallino, da poco trasferito all’ospedale di Garbagnate, sempre nel Milanese, ha ricevuto, come gli altri 3 medici, un’informazione di garanzia firmata dal pm di Milano Maura Ripamonti, come “atto dovuto” a garanzia, dato che sul cadavere di uno uomo deceduto qualche settimana fa è stata disposta l’autopsia. I legali degli indagati potranno così seguire gli esami autoptici. L’anziano, di 70 anni, era stato operato il 20 febbraio scorso per un’ernia e dopo l’intervento riportato in reparto; l’uomo poi era stato colpito da setticemia. Operato ancora una volta, dopo 40 giorni in rianimazione, è morto. Il pm sta svolgendo accertamenti anche su una serie di altri casi sospetti di lesioni colpose e morti, una ventina in totale, che sarebbero avvenuti nello stesso reparto, quello di Chirurgia V, guidato fino a qualche settimana fa da Pallino.

Sotto la lente degli investigatori ci sono oltre trenta cartelle cliniche. Sono documenti decisivi che confermano le testimonianze dei parenti dei malati e che  storie da reparto degli orrori. Come quella che capita alla signora Valeria (nome di fantasia). La donna, 86enne, è malata terminale. Ha un tumore che presenta metastasi di quattro centimetri. In ospedale ci arriva l’11 marzo 2010 per un’occlusione intestinale. In questi casi, il buon senso vuole che i medici si limitino ad accompagnarla verso la morte nella maniera più dolce possibile. Al reparto del dottor Pallino, però, non la pensano così. E decidono di operarla. Sotto i ferri, Valeria ci arriverà dopo cinque giorni di agonia per essere sottoposta a una laparotomia esplorativa ovvero un taglio che parte dallo sterno e arriva fino al pube. L’operazione serve per confermare una diagnosi. Ma qui tutto è chiaro fin da subito. Conclusione: l’intervento non serve a nulla. La signora, dimessa con una peritonite acuta, morirà da lì a poco. Proseguiamo. Il 31 gennaio 2010 il signor Mario (altro nome di fantasia) chiama suo figlio e gli sussurra: “È finita”. Sente che sta morendo. In quel letto di ospedale ci sta da cinque giorni. Ma nessuno si preoccupa di spiegargli come mai, nonostante l’intervento, continui a perdere sangue dall’ano. Mario all’ospedale di Rho arriva il 27 novembre 2009 per un’occlusione intestinale. Una settimana e viene dimesso con una diagnosi per diverticolite del sigma. La cura? Banali anti-infiammatori. Risultato: il 23 gennaio 2010 è di nuovo in ospedale. Ma questa volta con una peritonite che ha perforato il colon. Si decide di operare. Il 26 gennaio Mario è ancora in corsia. Ma sta male fino al punto da entrare in stato di choc emorragico. Naturalmente l’intervento è fallito. Un parente racconta di aver visto le infermiere quasi in imbarazzo “come se quello che stava accadendo fosse una cosa già successa ad altri pazienti”. Solo una seconda operazione, eseguita in maniera diversa e da un medico che non fa parte dello staff ristretto del dottor Pallino, gli salverà la vita.

Esploso il caso, l’8 marzo scorso i ministro della Sanità Ferruccio Fazio decide di inviare gli ispettori. Il caso viene sollevato anche da Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario. L’ex sindaco di Palermo così invia una lettera all’assessore regionale alla Sanità Luciano Bresciani, chiedendo “una dettagliata relazione” per la vicenda del reparto di Rho. Sulla stessa linea di Orlando anche il Tribunale per i diritti del malato che invoca chiarezza. “E’ importante – si legge in una nota a firma di Liberata Dell’Arciprete, segretario regionale della Lombardia – che si vada fino in fondo e che si accerti la verita’”. Non solo, ma “se le accuse saranno confermate preannunciamo sin da subito che ci costituiremo parte civile”. Oggi la conclusione, solo parziale, della vicenda

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