Due mesi, fa la Commissione Europea si è espressa contro il disegno di legge italiano di etichettatura obbligatoria sul luogo di origine e di lavorazione dei prodotti alimentari: volto a imporre la tracciabilità dei prodotti stessi e l’indicazione dell’eventuale presenza di Ogm. La lettera di dissenso indirizzata al ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Giancarlo Galan, da parte dei Commissari Europei John Dalli (responsabile per la Salute e la Tutela dei Consumatori) e Dacian Ciolos (responsabile per l’Agricoltura), è stata prevedibile, nonostante la meraviglia di alcune agenzie stampa nel riportarla. Difatti, già nel 2010, la Commissione Europea aveva chiesto all’Italia di interrompere l’esame del disegno di legge: che è stato comunque approvato (e sbandierato) all’unanimità dalla Commissione Agricoltura della Camera il 18 gennaio 2011, nel pieno dello scandalo delle uova e dei mangimi alla diossina. Con l’approvazione del disegno di legge, l’Italia ha intenso mostrare di essere in anticipo per dare “un deciso segnale all’Europa verso la completa e chiara informazione dei consumatori sui prodotti alimentatori, a detta del Ministro Galan.

Infatti, fino ad oggi, l’origine di una parte considerevole dei prodotti alimentari è rimasta ignota: “Dalla pasta ai succhi di frutta, dal latte a lunga conservazione ai formaggi, dalla carne dei maiali ai salumi” così come fa notare Roberto Franchini di Coldiretti.Il disegno di legge, dunque, permetterà agli Italiani di comprare prodotti più sicuri? Nonostante gli orgiasmi di molti comunicati, la legge sulla tracciabilità è ancora priva di contenuti attuativi certi. Franco Postorino, direttore economico di Confagricoltura ha già osservato che “serve maggiore chiarezza sui possibili effetti del provvedimento… la cui definizione è demandata ai successivi decreti. E ciò potrebbe aumentare la confusione del consumatore anziché diminuirla. Ad esempio la percentuale di prodotto non italiano, in un prodotto etichettato come italiano, potrebbe essere del 51% per cento nella migliore delle ipotesi. Del resto si spera anche che una etichettatura reale, fondamentale e giusta per il consumatore, non si traduca nemmeno in ulteriori obblighi e oneri di burocrazia, i cui costi sarebbero pagati dai produttori”.

Dunque è stata approvato un disegno di legge o uno slogan? “Il tutto può rivelarsi una bufala bella e buona”, commenta Fabiano Barbisan, presidente di Unicarve, cioè il più grande gruppo italiano di allevamento carni bovine. “Se parliamo di carne, essa deve essere  100% italiana e non con una percentuale di provenienza da altri paesi, e che subisce altre lavorazioni. Non per niente abbiamo avuto la carne alla diossina. Il disegno di legge, così come è fatto, è un passo in avanti perché stabilisce la tracciabilità come concetto. Ora bisogna dare il contenuto: cioè che il 100% del prodotto sia identificabile come paese di provenienza. Se c’è un miscuglio può benissimo chiamarsi prodotto Europa. La legge è ancora incerta perché tutto sommato l’Europa, le lobby, non la vogliono… Ma dovranno accettarla! E siccome in Italia produciamo anche sale, io metterei che se gli insaccati vengono etichettati come italiani, devono avere l’obbligo di sale italiano. Bisogna cioè dare al consumatore la possibilità di scegliere. Perciò, al di là di comunicati in Italia, se un ministro vuole fare una battaglia la deve fare in Europa!”

Frattanto, nell’Ue, continua l’iter della proposta di regolamento relativo all’informazione sui prodotti alimentari. O almeno il tentativo di fare informazione: infatti, il 29 di marzo non è riuscito l’accordo sulla regolamentazione dei prodotti derivanti da animali clonati, quali carni e insaccati, latte e formaggi. Questo l’infelice esito d’un dibattito durato tre anni, e che è andato oltre i termini consenti. Sicché verrà mantenuta la regolamentazione europea che risale al 1997, ossia agli albori della clonazione stessa. L’argomento clonazione (come del resto l’argomento Ogm) ha registrato un’altra incapacità di accordo fra Parlamento e il Consiglio Europeo, anche perché diversi Stati membri sono stati incalzati dalle lobby alimentari americane (l’Italia importa carne perlopiù dal Brasile e dall’Argentina). In pratica occorreva regolamentare non tanto gli animali clonati, quanto la discendenza o prole degli stessi, o meglio i prodotti derivanti dalla discendenza che tutt’oggi non sono regolamentati e dunque non sono soggetti a vincoli di legge. Un obbligo di tracciabilità dei prodotti derivanti da discendenza di animali clonati avrebbe rappresentato un effettivo divieto di prodotti alimentari da paesi extra Ue, che non hanno una tracciabilità estesa ai prodotti alimentari, rischiando ritorsioni e blocchi alle esportazioni europee. “Manca la volontà politica”, è stato il commento di alcuni europarlamentari, “seppure i sondaggi indicano che la maggioranza dei cittadini europei pretende un’etichettatura dei prodotti ottenuti da animali clonati”.

Del resto l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) sostiene che, malgrado la mortalità di animali clonati sia più alta che la mortalità di animali allevati tradizionalmente o con altre tecniche diverse dalla clonazione, non ci sono prove scientifiche che mettono in discussione la sicurezza alimentare della carne (e dei prodotti derivati della carne) di animali clonati o della loro progenie. È di tale parere anche la Food and Drug Administration, cioè l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. E anzi, in un documento del 2006, tale ente accerta l’assoluta sicurezza degli alimenti provenienti da animali clonati: essi sarebbero da considerarsi uguali ai prodotti che provengono da allevamenti tradizionali.

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