“Mio figlio ha tutto”, esclama il padre di X che ho davanti in sala professori. “Xbox, PlayStation 3, la Tv in camera e Internet… ogni notte fino alle due su Facebook e compagnia bella.”

È l’8 di aprile, l’anno scolastico è praticamente finito, e incontro per la prima volta il papà di X, uno dei miei alunni ripetenti. “Suo figlio ha tutto”, mi verrebbe voglia di polemizzare, tranne il libro di testo della mia materia”. Mi trattengo. È così raro vedere un genitore che viene a parlare con un professore di mattina, magari ha chiesto anche un permesso al lavoro. Non voglio frustrarlo.

Però gli racconto il mio avvilimento di prof della prima ora: alle 8.30 mi ritrovo davanti X e un’altra dozzina di vegetali abbandonati come lui sul banco per mancanza di sonno, gli occhioni spenti dalla penuria di zuccheri causata da precipitosi balzi dalle coltri alla metropolitana senza passare per il tavolo della colazione.

Il padre di X ribatte che ha preso provvedimenti. Gli ho tolto tutto. Niente PlayStation-Internet-Tv, niente, fino alla fine dell’anno”.

Come in un fast forward mi passano per la testa urla, proteste, sotterfugi che una proibizione così crudele avrà generato. Cerco di infondergli coraggio: in fondo si tratta di resistere solo un mese e mezzo. Ma non mi faccio troppe illusioni. Resistere alla Tip (Tv, Internet e PlayStation), la trimurti che calamita il tempo di X e di gran parte dei suoi coetanei non è impresa facile.

Tra i genitori ci sono quelli che passano dalla parte del nemico: condividono con i figli interminabili sfide sulla PlayStation e visioni di partite di calcio a ripetizione. E quelli che invece, magari tardivamente, tentano di mettere un freno, dei limiti orari. Nel mezzo c’è la maggioranza, che ha gettato la spugna o si limita a minacciare di buttare tutto dalla finestra, ormai rassegnata al fatto che i propri virgulti siano sequestrati in casa da una tecnologia incomprensibile.

Molti dei miei allievi non leggono. Alcuni non hanno mai letto un libro in vita loro. I ragazzi che vivono nel mondo della Tip sono abituati a compiere svariate attività contemporaneamente, ma nessuno ha mai pensato di insegnar loro a sedersi in solitudine nella loro cameretta, davanti a uno schermo spento, senza cellulare a portata di mano, in silenzio, per concentrarsi davanti a quell’oggetto arcaico chiamato libro. Dare i compiti a casa, esigere lo studio approfondito dei libri di testo, è ormai una pretesa un po’ patetica.

Non sarà anche una pretesa un po’ antiquata?

Molti professori sanno che è importante sviluppare il gusto per i concetti, per l’argomentazione, in una parola per il pensiero astratto. Il pensiero astratto… ormai arriva sempre più tardi, sempre più faticosamente dentro le teste dei ragazzi, e i prof si sentono sempre più foresti nella loro stessa scuola, meno autorevoli, meno interessanti, meno rispettati. La concretezza del Tip ha vinto, è già diventata un modo di pensare, un modello di comportamento.

Come regista, mi sento un po’ schizofrenico: in fondo il linguaggio che ho scelto per passione è proprio quello che sta togliendo alla scuola il terreno sotto i piedi. Perché è proprio questo che è venuto a mancare, una lingua comune. I nostri ragazzi sono sempre più multi-tasking, è vero, ma a cosa servirà? La scuola è finita, almeno per com’è stata concepita negli ultimi trent’anni. E questo è un problema politico prima ancora che un dramma culturale.

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