Sette corsi di laurea in meno, accorpamenti dei dipartimenti di ricerca e maggiori selezioni all’ingresso. L’Università di Bologna tocca con mano gli effetti del decreto 17 della riforma Gelmini, il cosiddetto “taglia corsi”, e si trova costretta a ridimensionare l’offerta formativa e a moltiplicare i numeri chiusi già dal prossimo anno accademico. Provvedimenti imposti dal Ministero, che però non vanno giù a molti docenti dell’ateneo, che denunciano: “Così si chiude l’epoca dell’università per tutti”

L’elenco dei corsi attivati nel 2011-2012 è disponibile sul sito dell’Unibo da pochi giorni. Ma prima dell’autunno potrebbe ridursi ancora. L’iter di applicazione del decreto, che risale al settembre dello scorso anno, non è ancora terminato.

Numeri alla mano, i corsi di laurea, secondo le prime stime, passano da 221 a 214. Scompaiono del tutto alcune discipline. Lettere e Filosofia perde la Laurea triennale in Geografia, mentre la facoltà di Matematica rinuncia a quella in Fisica dell’atmosfera e meteorologia. Addio anche alla triennale in Sociologia e scienze criminologiche e a quella in Scienze dei consumi alimentari e della ristorazione.

Per limitare le perdite, alcuni corsi sono stati fusi insieme ad altri così da raggiungere il numero minimo di docenti. Scienze Antropologiche e Storia e civiltà orientali, ad esempio, sono stati accorpati e trasformati in un corso unico denominato Antropologia, religione e civiltà orientali.

La facoltà di Lingue e letterature straniere mantiene inalterato il numero di corsi, ma è costretta a inserire il test d’ingresso per le future matricole della triennale in Lingue. “L’anno scorso si sono iscritti circa 900 studenti – spiega Federico Bertone, docente della Facoltà – se si ripeteranno gli stessi numeri più di 300 persone resteranno fuori dal corso. Ma non possiamo farci niente. Se i docenti che vanno in pensione non vengono rimpiazzati siamo costretti a ridurre il numero di studenti per rispettare i parametri”.

Il decreto Gelmini fissa dei paletti per essere in regola e poter continuare a erogare un corso presente nell’offerta formativa. Al di fuori di questi numeri le soluzioni sono tre: la soppressione, l’accorpamento o il numero chiuso. Per quanto riguarda le lauree triennali la legge prevede almeno 12 docenti di ruolo, che si riducono a 8 per quelle magistrali (di durata biennale). Per i corsi a ciclo unico di cinque anni i professori confermati devono essere minimo 20, mentre per quelli di sei anni il numero sale a 24.

L’obiettivo dichiarato più volte dal Ministero è quello di mettere un freno “alla proliferazione degli insegnamenti”. Ma il timore di molti docenti dell’Alma Mater è che si vada a sacrificare, in nome della razionalizzazione, corsi validi e discipline utili ma poco gettonate tra gli studenti. “Ho molti dubbi sull’efficacia del metodo imposto dal ministro – sottolinea Carla Giovannini, preside della facoltà di Lettere di Bologna che, in qualità di professoressa di Geografia, non può che guardare con preoccupazione la scomparsa della sua materia – Senza il ricambio dei professori che vanno in pensione molte discipline non saranno più sostenibili. Un’università basata su criteri puramente numerici ed economici è un’università in gabbia”. Anche lei, come gli studenti della protesta anti-Gelmini, parla di un sistema accademico sempre più simile a quello di un’azienda. “Tutto dovrà essere calcolato. Ma in questo modo scomparirà il modello di università aperta a tutti. In un paese come l’Italia, dove il tasso di scolarizzazione è già molto basso, non ce lo possiamo permettere”.

Anche Sergio Brasini, docente di Statistica e componente del movimento bolognese “Docenti Preoccupati”, boccia il modello Gelmini: “Il pericolo è che si vada a ingessare l’ateneo permettendo l’accesso solo a determinate fasce di popolazione. Tutti gli altri dovranno arrangiarsi. È la fine dell’università di massa”. Secondo le sue previsioni in pochi anni l’Alma Mater perderà più di 30000 studenti, passando dagli attuali 86mila a circa 50mila: “È una situazione angosciante, si ritornerà indietro di 40 anni”.

E agitazione prevale anche nell’ambiente della ricerca. “Se lo scopo della Gelmini è quello di premiare il merito – si lamenta Mauro, ricercatore precario – perché un’eccellenza come il dipartimento di Astronomia, premiato con un punteggio altissimo, dal prossimo anno sarà inglobato in quello di Fisica?”.

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