Affari, lavori pubblici, politica, società miste, voti. Tutto passava da Archi, quartiere di Reggio Calabria. Dalla cosca Tegano, dai De Stefano e dai Condello. In 21 sono finiti in carcere stamattina in seguito al decreto di fermo disposto dalla Direzione distrettuale antimafia ed eseguito dalla Squadra Mobile della città dello Stretto. Cinque gli irreperibili, tra cui il boss Pietro Labate, il raìs del Gebbione scarcerato un anno fa e tornato a dirigere l’omonima cosca della zona sud della città.

A rafforzare l’impianto accusatorio della procura che ha voluto le misure cautelari le nuove dichiarazioni dei pentiti: Roberto Moio, Antonino Lo Giudice e Consolato Villani. Le loro confidenze ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia hanno consentito di ricostruire i nuovi assetti e l’organizzazione di vertice delle cosche operanti a Reggio Calabria. L’operazione è stata chiamata “Archi” dal nome del quartiere di Reggio che riveste un ruolo fondamentale nelle dinamiche criminali.

“È emersa con forza, ed in modo assolutamente univoco, – scrivono il procuratore Pignatone e i sostituti Giuseppe Lombardo, Marco Colamonici e Beatrice Ronchi – l’unitarietà della ‘ndrangheta come organizzazione di tipo mafioso. Non più dunque semplicemente un’insieme di cosche, famiglie o ‘ndrine, nel loro complesso scoordinate e scollegate tra di loro, salvo alcuni patti federativi di tipo localistico – territoriale, certificati da incontri, più o meno casuali ed episodici, dei rispettivi componenti di vertice. Sotto tale profilo, i plurimi elementi di prova raccolti consentono di evitare il grave rischio di una visione parcellizzata, frammentaria e localistica della ‘ndrangheta, una visione che non ne ha fatto apprezzare la reale forza complessiva in termini di legami e connessioni con il mondo “altro”, sia che si tratti di pezzi delle istituzioni, sia che si tratti di settori dell’imprenditoria, sia infine che si tratti di appartenenti al mondo della pubblica amministrazione o della politica”.

In manette anche i fratelli Giuseppe e Bruno Tegano, fratelli del boss Giovanni, l’ex latitante arrestato ad aprile del 2010 nella zona pedemontana di Reggio.Bruno Tegano, secondo i magistrati, era il cassiere della cosca. “Quando avevamo bisogno di soldi – è scritto nei verbali degli interrogatori sostenuti da Moio – ci rivolgevamo a lui; in una occasione mi diede venti milioni da portare all’avvocato Taormina (ex sottosegretario all’Interno in uno dei governi Berlusconi oggi fondatore del partito “Lega Italia”, ndr), che aveva assistito Peppe Schimizzi; attualmente continua ad occuparsi di affari di famiglia, con particolare riferimento ai rapporti con politici”.

Per gli inquirenti, l’operazione “Archi” può essere paragonata all’inchiesta “Crimine”, condotta nel luglio scorso in collaborazione con la Dda di Milano con l’arresto di oltre 300 persone. La Direzione distrettuale antimafia e la squadra Mobile hanno messo insieme i tasselli di un puzzle complesso per ricostruire gli assetti attuali delle cosche, partendo dalla guerra di mafia del periodo 1985-1991. Scoperti anche i luoghi dei summit tra le cosche come quello avvenuto in una notte del 1991 sulla collina di Archi, dove Pasquale e Domenico Condello, Giovanni e Pasquale Tegano, Orazio e Giuseppe De Stefano hanno deciso che non si doveva sparare più in riva allo Stretto. Una discussione durata oltre due ore e conclusa con un lungo abbraccio e un pianto tra i mammasantissima protagonisti della mattanza che provocò quasi mille morti ammazzati. Il racconto, inedito, è di Roberto Moio, genero del boss Giovanni Tegano, uno degli ultimi pentiti che sta collaborando con la Direzione distrettuale antimafia. Dopo essere stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Agathos”, Moio ha deciso di saltare il fosso, confessando decine di omicidi, di estorsioni commesse dalla cosca Tegano, ma non solo.

Coinvolte la politica e una società partecipata dal Comune
È un fiume in piena Roberto Moio quando viene ascoltato dai magistrati. Indiscrezioni confermano che di nomi di politici ne ha fatti. Anche se, nel decreto di fermo, non sono stati inseriti. Politici che, secondo il collaboratore di giustizia, sarebbero anche affiliati alla ‘ndrangheta. Le indagini, su questo fronte, continuano. Chi sia il politico, o i politici, in pellegrinaggio al “santuario” di Archi per essere benedetti dalle cosche ancora non è dato saperlo così come il procuratore Pignatone mantiene il massimo riserbo anche su un’eventuale infiltrazione della ‘ndrangheta nel Comune di Reggio Calabria e, precisamente, nella “Multiservizi”, una delle esternalizzate partecipata al 51% dall’amministrazione di Palazzo San Giorgio.

In carcere, infatti, è finito anche Giuseppe Rechichi, “socio privato della società mista Multiservizi S.p.a.”, che secondo la procura “ha svolto e svolge attività di supporto alle azioni criminali della cosca, forte del ruolo acquisito durante la guerra di mafia per aver fornito supporto logistico ai gruppi di fuoco, impiegati anche nell’agguato a Nino Imerti in agro di Fiumara di Muro; è soggetto particolarmente legato a Carmelo Barbaro”.

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