Il ministro Maroni ha vietato gli ingressi nei Cie che ospitano gli immigrati sbarcati a Lampedusa, perfino ai parlamentari e ai consiglieri regionali. Infatti, per il senatore Furio Colombo e il deputato Andrea Sarubbi, che hanno tentato di visitare oggi il Centro di Lampedusa, i cancelli sono rimasti sbarrati.

Per chi si occupa da tempo di Centri di detenzione amministrativa per stranieri (un tempo denominati Centri di Permanenza Temporanea ed Assistenza – Cpta e ora Centri di Identificazione ed Espulsione – CIE) niente di nuovo sotto il cielo. Entrare in questi luoghi è sempre stato difficile, quasi impossibile, perfino per i difensori degli stranieri. Sono costruiti, infatti, sin dai tempi della legge “Turco–Napolitano” che le “inventò”, per non essere visti e controllati dall’esterno: spesso collocati fuori dalle città o nelle loro periferie, lontani comunque da occhi indiscreti, sempre circondati da alti muri e/o recinzioni di filo spinato, cancelli, guardiole, forze dell’ordine armate, fari potenti, videocamere a circuito chiuso, speciali sistemi di allarme e arredamento imbullonato al pavimento. Sono delle “fortezze”, inaccessibili da sempre (nonostante il Regolamento di attuazione, D.P.R. n. 394/1999, del Testo Unico sull’Immigrazione, D. Lgs. n. 286/1998, preveda tutt’altro).

I CIE sono i buchi neri della democrazia italiana, o meglio, l’elemento rivelatore della sua progressiva putrescenza. Ogni volta, infatti, che coloro che vi sono reclusi hanno la possibilità di raccontare quello che accade all’interno, veniamo a sapere di soprusi, violenze e umiliazioni che non hanno nulla da invidiare ad Abu Ghraib oppure a Guantamo. Non è un caso, infatti, che gli atti di autolesionismo, le fughe e le rivolte degli immigrati reclusi siano innumerevoli. Non si tratta di fatti episodici, ma di gesti che rivendicano l’irriducibilità umana, gesti che squarciano l’invisibilità che circonda questi luoghi. Sono un modo per ottenere un riconoscimento pubblico della propria umanità.

Il divieto, però, imposto dal ministro Maroni all’ingresso dei parlamentari, consiglieri ed associazioni nei Centri di Lampedusa e di Manduria, pone due domande. La prima è rivolta allo status legale di questi luoghi: se ufficialmente – sia il Centro di Lampedusa che quello di Manduria – sono denominati, rispettivamente, CPA (Centro di Prima Accoglienza – Lampedusa) e CAI (Centro di Accoglienza e Identificazione – Manduria) perché imporre il divieto di ingresso alle delegazioni esterne? E poi, cos’è giuridicamente un CAI, visto che tale tipologia non è prevista dall’ordinamento in vigore?

La risposta a questa prima domanda, la si ha, paradossalmente, con la seconda domanda: come e possibile che venga sospeso l’ordinamento con il solo ordine del ministro degli Interni, emanato con una circolare “riservata”? E’ tutto qui il segreto delle politiche migratorie in Italia: le circolari amministrative*. Ci sono le leggi e ci sono le circolari governative che contraddicono le leggi (perfino quelle più repressive e razziste). Sono le circolari le vere “officine giuridiche” della disciplina migratoria in Italia. E’ con questi atti amministrativi – che sono adottati velocemente e in totale assenza di contraddittorio – che si decide della vita degli immigrati.

Il modello non è nuovo nella storia. Si ispira, infatti, alla concezione assolutistica, pre-moderna del diritto. Ma, del resto, può esserci traccia di illuminismo in una politica che si esprime con espressioni come “Fora di ball”?

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