Cercasi petrolio disperatamente. Da quando la crisi globale ha cominciato a riversare i suoi effetti, passando da crisi finanziaria a economica, per divenire successivamente socio-occupazionale, tanti, in primis i politici, hanno concentrato le loro attenzioni sulle energie rinnovabili: “Investiamo sulle energie rinnovabili, sono la nuova frontiera del business”. Non sempre poi avviene. E quanto sta per avvenire nell’Appennino tosco emiliano, ne è la dimostrazione.

A lanciare l’allarme è stato il Movimento 5 Stelle dell’Emilia Romagna che ha depositato una risoluzione urgente per chiedere alla Regione di interrompere lo sfruttamento a fini estrattivi di eventuali giacimenti di idrocarburi presenti sul territorio emiliano e romagnolo.

Per ora – è bene precisarlo – si tratta solo di richieste per la ricerca di idrocarburi. Sono in corso, infatti, tre valutazioni di impatto ambientale sui permessi di ricerca denominati “Fiume Reno”, “Fiume Secchia” e “Fiume Panaro”; istanze presentate dalla multinazionale americana Hunt Oil Company of Italy.

Nel chiedere lo stop alle trivellazioni future, i grillini emiliani denunciano che “i territori oggetto di ricerca ospitano numerose aree protette appartenenti al sistema Natura 2000, Parchi e Riserve Naturali, elementi di alto pregio ambientale e paesaggistico, siti a valore storico-testimoniale. Se ciò non bastasse, poi, presentano ampissime aree interessate da fenomeni di dissesto idro-geologico e in generale delicate e ad orografia complessa. E contrariamente a quanto sostenuto dalla ditta proponente il Piano Energetico Regionale assolve, anche in termini di fabbisogni di idrocarburi, ai bisogni richiesti dal tessuto artigianale e industriale della Regione”.

“Questa è l’unica fase – afferma Andrea Defrancheschi del Movimento 5 stelle intervistato da una radio locale bolognese – in cui la Regione può intervenire, dopo di che l’unico che può rilasciare le autorizzazioni alla trivellazioni è il Ministero competente. Potremmo trovarci, dunque, improvvisamente con pozzi petroliferi che spuntano in Appennino”.

L’obiettivo, dunque, è di giocare in anticipo, prima che tutto passi alla competenza ministeriale.  Secondo i dati di Legambiente nel nostro paese sono stati rilasciati 95 permessi complessivi di ricerca di idrocarburi, di cui 24 in mare, interessando un’area di 11 mila chilometri quadrati.  Sono 71, invece, i permessi rilasciati per esplorazioni sulla terraferma. A queste si devono aggiungere le 65 istanze presentate solo negli ultimi due anni, di cui ben 41 a mare per una superficie di 23 mila chilometri quadrati. Secondo le stime del Ministero dello Sviluppo Economico sono ancora recuperabili da mare e terra italiani 129 milioni di tonnellate di petrolio. Secondo lo stesso “dossier”, inoltre l’Hunt Oil Company avrebbe presentato, il 30 giugno del 2009, tre istanze per permessi di ricerca a terra, sul fiume Panaro, Secchia e Reno.

Il Movimento 5 stelle, dunque, rincara la dose sostenendo che “le trivellazioni usano sostanze pericolose, e l’estrazione comporta rischi di inquinamento dei terreni, dell’aria e delle falde acquifere con prodotti cancerogeni, rischi di esplosioni, di perdite di gas pericolosi per la viabilità. Tutti i Comuni interessati dallo scellerato progetto hanno più volte espresso la loro contrarietà, ma sembra ormai fatto assodato che le necessità delle comunità non vengano ascoltate. È dunque essenziale che, da parte sua, viale Aldo Moro si adoperi in ogni sede, e in particolare nei confronti del ministero dell’Ambiente, perché non vengano concessi permessi di trivellazione sul proprio territorio. I cittadini dell’Appennino si aspettano che tutti i partiti politici facciano una scelta di responsabilità per tutelare la salute del territorio e di tutti noi”.

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