Lasciare la scrivania, dove si sta seduti a inanellare commenti, e andare a guardare le cose come stanno, fa bene. E’ bene. Bisognerebbe farlo più spesso. Arrivo a Lampedusa la sera di sabato. Già atterrando vedo “la collina del disonore”: lacere tende di straccio, di plastica, tutte ammassate sulla piccola altura che domina il porto. La notte vado a guardare meglio: dormono senza riparo, come una mandria mansueta, ammassati, a scaldarsi col fiato, uno con l’altro. Il buio è freddo e umido.

No, non sono 5000, sono 7000, dicono gli indigeni. Li guardano senza rancore, umanamente empatici. Eppure spaventati. Mai visto un popolo riuscire in una impresa emotiva così difficile:  tenere separati i sentimenti dalla ragione. La ragione: “In Italia ci sono 5000 comuni, ne mandano cinque per ogni comune e siamo liberi”. “E’per non disturbare quelli del nord, che ci lasciano invadere e schiacciare”. “ Fa comodo, per motivi elettorali”. “Siamo italiani solo quando dobbiamo votare”.  “Questa è un’ isola. Su un’ isola c’è un economia chiusa: se diamo a loro restiamo senza noi”. “Sono migliaia, vivono in condizioni igieniche disastrose: se scoppia un’ epidemia finiamo tutti in quarantena”.

Il sentimento: “Era un ragazzo di sedici anni, solo. Voleva chiamare la sua mamma. Gli ho dato 5 euro. E che dovevo fare? Chissà la mamma come era in pena”. “Gli ho fatto un panino. Ha chiesto di tagliarlo in tre pezzi che ci aveva due fratelli. Gli ho fatto altri due panini. E che dovevo fare? Mi sono messo nei suoi panni”.

Sciamano nelle strade in gruppi di dieci. Tutti giovani maschi, tutti costretti ad oziare.  Lampedusa sembra la periferia di Tunisi. Il sud estremo. A 80 miglia marine dalla costa nordafricana. A 120 da quella siciliana. Nella sola giornata di domenica più di dieci sbarchi. I Lampedusani, alle nove di sera, in un improvvisato comizio in piazza, indicono uno sciopero generale. L’isola chiuderà per un giorno. “Siamo contro questo governo di incompetenti, di indifferenti, di inetti e di imbroglioni”. “Questi non sono sbarchi, sono recuperi. Vanno a prenderseli a 50 miglia da qui”.

I Lampedusani chiedono alla stampa, ai fotografi  (un’altra invasione) tutto e il contrario di tutto. Mi dicono: “Scrivi che l’isola è bella pulita pacifica, se a noi salta la stagione turistica, finiamo in Africa a fare i profughi”. Poi dicono: “Malaria, tubercolosi, scabbia. E noi non abbiamo neanche un ospedale. Se ti tagli col coltello ti danno solo due punti, se te ne servono tre, devi volare a Palermo”. “Dobbiamo chiudere le scuole. Abbiamo paura per i bambini. L’isola puzza di escrementi”. “Tutti uomini, nell’età dell’aggressività. E se scoppia una rissa? Già si stanno stufando di sorridere e ringraziare”.

Che cosa scrivo, allora? Tutti in vacanza a Lampedusa oppure Lampedusa sta per scoppiare? E Raffaele Lombardo, che si aggira compunto fra i mucchi di immondizia, che telefona in diretta a Berlusconi interrompendo l’incontro con i cittadini, che si allinea al generale mugugno antigovernativo, che cosa conta di fare? Fra i generosi e angosciati lampedusani sono parecchi quelli che hanno votato il centrodestra. Alcuni stanno cambiando umore.

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