La teoria di Olduvai è stata elaborata da Richard Duncan nell’ormai lontano 1989 e ipotizza che la civiltà industriale, qui definita dalla produzione elettrica pro-capite, avrà una durata di vita pari a cento anni: 1930-2030. Secondo Duncan, il surplus energetico che ha consentito lo sviluppo industriale globale ha già smesso di crescere e vedrà presto una rapida discesa, fino al ritorno ad una situazione di equilibrio energetico con le risorse naturali. Olduvai è il luogo, in Tanzania, considerato la culla della civiltà umana.

La teoria è stata accusata di catastrofismo e neomalthusianesimo, anche per il legame energia-popolazione e la previsione di un crash di quest’ultima in seguito al crollo della produzione elettrica. Ma l’ipotesi ritorna inevitabilmente alla mente quando si legge cosa sta succedendo in Giappone. Il Seattle Times, riportando un bell’articolo del Los Angeles Times, titola: “Il Giappone alle prese con un medioevo del XXI secolo”.

La produzione elettrica giapponese, per la chiusura delle centrali nucleari, ha subito un brusco taglio del 30%. Nove raffinerie di petrolio sono rimaste danneggiate, e al momento il 30% dei distributori di carburante di Tokio non ha nulla da vendere. La capacità di raffinazione sta tornando alla normalità, ma il problema è che la domanda di carburanti è quasi triplicata a causa dell’emergenza che ha colpito mezzo Paese. Le autorità locali chiedono carburante con persino più disperazione di quanto chiedano cibo o acqua o medicine.

Tokio sembra così avviarsi  sulla strada per Olduvai e confortare la narrazione di Duncan. Le fabbriche chiudono a rotazione per mancanza di energia, e perché i dipendenti non hanno modo di recarsi al lavoro; le luci in casa si spengono alle 9 di sera, e lo skyline della metropoli è costellato da macchie di buio; gli eventi sportivi sono rimandati a data da destinarsi, i rifiuti si affastellano agli angoli delle strade perché i camion non hanno gasolio per effettuare la raccolta; i giornali dedicano intere pagine agli orari dei blackouts zona per zona. “E’ abbastanza buio da essere anche un pochino spaventoso, e per la mia generazione è impensabile avere scarsità di elettricità, dice un ragazzo. Secondo un ingegnere della compagnia elettrica intervistato in forma anonima dal Los Angeles Times, tale situazione potrebbe durare anche un anno.

Tokio sta lentamente diventando una wasteland. Pian piano, senza troppo rumore, pochi alla volta, i cittadini se ne vanno al sud in cerca di un posto migliore. Incluso, a quanto pare, Masataka Shimizu, presidente della Tepco di cui non si hanno più notizie e che si sospetta fuggito dal Paese. Mentre alle decine di migliaia di contadini profughi della zona intorno a Fukushima si comincia a spiegare, con tatto, che forse non potranno mai più mettere piede sulla terra che i loro padri hanno coltivato per millenni. Ma sembra che al momento rifiutino ostinatamente di afferrare il concetto.

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