Festeggiamo (non tutti), i nostri primi 150 anni sotto l’incubo dell’apocalisse nucleare, e la memoria corre a Italia ’61, quando il nucleare rappresentava il futuro di un paese centenario in pieno boom. E a un uomo chiamato Felice Ippolito, che dell’atomo era il profeta nostrano, e che passò quasi due anni a Regina Coeli, vittima di un oscuro complotto politico-giudiziario.

Come segretario generale del Cnen (Comitato nazionale per l’energia nucleare) era imputato di sperperi e irregolarità che oggi fanno ridere, l’uso della “Campagnola” aziendale a Cortina per quindici giorni un’estate, cartelle in finta pelle distribuite ai giornalisti, un viaggio dell’autista in carrozza letto. Contro di lui si era mobilitata una coalizione potente, pezzi grossi della Dc, petrolieri,  industriali elettrici ostili alla nazionalizzazione. Anima nera dell’accusa, il Pm Romolo Pietroni, più tardi espulso dalla magistratura per sospette collusioni mafiose.

A difesa di Ippolito scese in campo l’Italia migliore, fisici come Edoardo Amaldi, giornalisti come Montanelli, Forcella, Scalfari, padri della patria come Ferruccio Parri e Ugo La Malfa. Mi direte che se Ippolito avesse vinto la sua battaglia, oggi saremmo qui a innaffiare qualche nocciolo di uranio in procinto di fondersi. Forse. Di sicuro, però, il made in Italy non sarebbe soltanto moda e slow food e tanti brillanti laureati in fisica avrebbero qualche alternativa all’emigrazione o alla carriera di romanziere.

Uno dei più fieri avversari del professore napoletano, il leader socialdemocratico Giuseppe Saragat, definiva le centrali atomiche uno spreco assurdo, «segherie che producono segatura». In seguito confesserà di essersi documentato su un’enciclopedia. E sarà lui, da presidente della Repubblica, nel marzo  ’68, a firmare la grazia per Ippolito.

Il nostro attuale premier, che del nucleare è un paladino entusiasta e incolpa le solite sinistre di averlo affossato (dimenticando che fu il suo amico e protettore Bettino Craxi a cavalcare per demagogia il referendum del 1987) dice che siamo la patria di Fermi, e che Fermi  inventò «la possibilità di creare dalla scomposizione delle cellule (sic) l’energia nucleare». I regimi passano, i Fermi emigrano,  gli Ippolito vengono silurati, l’ignoranza resta al potere.

Saturno, Il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2011

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