La copertina dell'album "Sul tetto del mondo" dei Modena City Ramblers“…C’è un’Altr’ Italia che vive e si diffonde non la trovi sui giornali, la tv ce la nasconde…”. E’ il Paese di Anna, delle sue estati in Calabria a raccogliere i pomodori nelle cooperative di Libera, e quello di Margherita che fa politica col cuore e “non sale sulla giostra dei corrotti” nel Consiglio comunale. Questi sono gli italiani migliori che ci raccontano i Modena City Ramblers:L’Italia delle associazioni, di chi si impegna e pensa col proprio cervello”, spiega Francesco “Fry” Moneti, violinista della band.

Francesco, Roberto, Franco, Massimo hanno incontrato tante di queste persone nei loro tour, e tutte le loro storie, le vite, sono raccolte in questo dodicesimo album, intitolato Sul Tetto del Mondo (Mescal/MCRecords – Universal). Sullo sfondo, c’è anche l’altro Paese, ubriaco di concorsi a premi, “di polveri bianche stese nei salotti buoni”. “I giorni della crisi, a cui ti riferisci – dice Francesco Moneti – è una canzone che parla di un Paese confuso e incapace di riconoscere la sua deriva morale, ma, sia chiaro, Sul Tetto del Mondo è un disco estroflesso, solare, felice, che sprigiona luce anche in questi giorni pallidi”.

I Modena City Ramblers sono una continua conferma. Uno dei rarissimi casi in cui nonostante l’uscita dal gruppo di un cantante carismatico – Cisco –, la musica non tradisce e continua a parlare alle nuove generazioni; merito, anche, della voce credibile di Davide “Dudu” Morandi e della sua presenza scenica. Perché nei live, soprattutto, si coglie il senso della loro musica che sta nell’incontrarsi e stare insieme, senza mediazioni. Forse è proprio per questa gioia che il pubblico dei Modena non invecchia. Ai loro concerti, sorprendentemente, anche dopo 20 anni dal debutto, incontri adolescenti entusiasti, che ballano il loro Combat Folk e, allo stesso tempo, cantano del bisogno di coerenza, della necessità di lottare contro le ingiustizie. “Ne abbiamo conosciuti tanti in giro viaggiando per l’Italia in un furgone, loro sono stati la nostra prima ispirazione, una faccia e un nuovo riff, che nasceva strimpellando una chitarra da 50 euro”.

In uno di questi viaggi, hanno scritto Povero diavolo, che Francesco ci recita : “Fatti non foste a viver come bruti / ma a viver come bruti vi siete abituati /virtute e conoscenza avete trascurato/ ed esser peccatori non val più quale peccato; il demonio di questi tempi è un povero disoccupato – ride – oggi che la ‘perduta gente’ se ne va per il mondo fiera della propria meschinità”. Gusto d’Irlanda, in questa canzone popolare di lotta, una delle più belle di questo disco acustico, che si diverte a mischiare la musica d’autore con l’Isola di Smeraldo e le sonorità del Mediterraneo, come in ¡Que viva Tortuga!, canzone che cita il Capitan Uncino di Edoardo Bennato e ospita le percussioni di Tony Esposito.

“Le influenze sono tante e tante le citazioni. Continuiamo a dare importanza alla musica, anche se la musica è sempre meno importante rispetto a quando noi avevamo 20 anni, allora un concerto o l’uscita del nuovo album di un artista era l’evento che emozionava e ‘rivoluzionava’
. Adesso la sensazione è che i ragazzi ascoltino i cd mentre scaricano l’ennesima applicazione inutile sull’ iPhone e, allo stesso tempo, chattano su Facebook, questa è una grande differenza tra la nostra generazione e la loro. Quando suoniamo dal vivo, però, le distanze si accorciano, il rapporto è diretto, senza filtri, distrazioni. Nel live si irradia energia umana, per questo non smetterei mai di suonare. In questo nuovo tour vogliamo abbracciare tutti i pazzi che ci seguono da 20 anni e i nuovi arrivati che cercano il contagio della follia”.

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