Le imprese, come le persone fisiche, nascono, crescono e muoiono: il ciclo di vita biologica degli individui non è dissimile da quello della vita economica delle aziende. Le  imprese ultracentenarie, così come le persone, sono una rarità per cui, in questi tempi di celebrazioni unitarie, mi sarei aspettato anche un evento commemorativo di quelle aziende – non sono poche – nate a cavallo del 1860: basta guardare in giro qualche marchio o etichetta per cogliere il fatto che l’unificazione d’Italia rappresentò probabilmente un evento letale per alcune aziende mentre aprì ad altre prospettive commerciali tali da far superare agevolmente, in seguito, i cicli avversi che di certo non mancarono, attraverso ben due conflitti mondiali.

Siamo oggi nuovamente di fronte ad un passaggio epocale: l’ennesima crisi finanziaria globale mette in discussione il nostro modello di sviluppo occidentale mentre nuovi competitori tentano il sorpasso. E la velocità con cui circola oggi l’informazione accelera rivoluzioni sociali ed economiche. Il panorama del dibattito politico in corso sembra invece evidenziare una sensazione di ineluttabilità della sopraffazione di vecchie logiche monetarie, finanziarie, energetiche e mercantili sulla nostra vita, comune ai due principali schieramenti. Manca il coraggio di ripensare stili di vita poco sostenibili, di avere una visione della vita al di fuori delle esigenze della produzione e del consumo. Si ragiona solo in termini di crescita del Pil. Produciamo un mare di rifiuti e i termovalorizzatori sembrano l’unica soluzione possibile: il naturale sbocco di un’instancabile catena di produzione. Non si tratta di rigettare in blocco l’economia di mercato, ma solo di rimetterla al suo giusto posto per vivere meglio, per usarla e non essere usati.

Il suggerimento che, da lettore, darei a Roberto Napoletano, nuovo direttore del principale quotidiano economico italiano, per riportare in auge la testata, sarebbe quindi quello di dare spazio a nuovi paradigmi economici resistendo alle pressioni che lo vorranno difensore d’ufficio di modelli economici legati al passato e dei relativi potentati. Si dia adeguato spazio agli imprenditori 2.0, si trasformi Il Sole stesso in un organo di informazione interattivo che favorisca anche orizzontalmente lo scambio delle informazioni, delle visioni e delle idee di impresa tra gli operatori, con uno sguardo sempre meno provinciale. Compete all’impresa moderna, permeata di responsabilità sociale, creare benessere vero non solo economico, ma misurabile anche in qualità della vita. Le fonti e le reti energetiche alternative alle fossili e al nucleare, l’ambiente e il paesaggio, il cibo sano, la qualità della vita urbana, la mobilità, l’efficienza energetica dei fabbricati, i beni culturali, le infrastrutture digitali, la ricerca pura e applicata e persino il Maghreb post rivoluzionario rappresentano tutte opportunità per una nuova imprenditoria italiana che faccia leva sulla cooperazione tra generazioni e scongiuri il conflitto tra le stesse.

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