Faccio mia questa lettera pubblicata su Pisa Notizie, Il Tirreno e varie altre testate. Tocco con mano la verità di quanto contiene.

Notizia personale recentissima : la professoressa di mia figlia Diletta si opera e mancherà. Diletta ha 18 ore di sostegno divise tra due insegnanti: la prima cura l’area umanistica e l’altra quella logico matematica. Entrambe utilizzano l’unico metodo possibile con Diletta: riprodurre la realtà collegandola con gli argomenti che si debbono trattare. Vengono fuori lavori interessanti che poi si ripetono in classe, spesso in piccoli gruppi, specialmente usando alcune ore che ben accolgono queste attività.

Peccato che le liste delle sostituzioni siano esaurite. Si spera nelle varie possibilità con scarsa fiducia. La dirigente, la sottoscritta e la segreteria perdono tempo e soldi per tappare il buco creato al fine di risparmiarne. Il risultato è sempre lo stesso: per risparmiare 10, non solo si spende 100, ma si consente la dispersione di tutto o quasi ciò che si è investito prima.

Soluzione prospettata a Diletta: sfruttare le ore buche dei suoi professori (quelle destinate ai colloqui, ad esempio) e uno a uno, su una traccia telefonica dell’insegnante di sostegno collegata dall’ospedale, e con l’aiuto dell’assistente educativo culturale (che per fortuna, a suon di telegrammi, raccomandate e ulcere materne, è la stessa da quattro anni ed è anche l’assistente domiciliare), portare avanti il programma cercando di far diventere un bicchiere mezzo vuoto – anzi , bucato! – una bella coppa di champagne.

Ogni professore sperimenterà se stesso su una disabilità grave come quella di Diletta, e Deo gratias se questi insegnanti accolgono con favore l’esperimento, mia figlia è la cavia come al solito (grazie ministra! Ma quanto le sono grata!). E poi, se auguriamo dentro di noi che a questi riformatori dei nostri stivali capiti sulla propria pelle qualcosa di simile, siamo anche cattivi!

Sono arrabbiata. Non lavoro perché devo amministrare le burocrazie malsane che circondano Diletta. Siccome non lavoro, nessuno, se mi occorre, mi fa credito. Però, siccome ho una casa, sono ricca e quindi pago tutto per intero. Ho studiato per scrivere lettere e difendermi con la lingua biforcuta che mi hanno insegnato a tirar fuori. Impegno, sudore, esami per stare a casa a tamponare gli errori di chi guadagna 10 mila ( o forse più) euro al mese senza poter produrre. Privata della mia dignità, della mia identità di donna e di madre, dei miei diritti di cittadina.

Ma non sola sola: siamo in due con mia figlia. Perché le cose le abbiamo fatte in grande.

Da poco abbiamo festeggiato l’Unità d’Italia. E io, che in onore dell’Italia ho chiamato mia figlia Diletta, non ho sentito nessun impulso dentro. Nessuna gioia. Solo tanta malinconia, tristezza, solitudine. Combattiva sempre, ma umana . E allora lasciatemi sfogare e dire che non è giusto! Ho divagato e sono andata oltre il problema scuola. In realtà non dimentichiamo che la vita di un individuo non è un insieme di operazioni. E’ una singola equazione. Deve contenere coerenza. Contenuti.

Appoggio la lettera di Ilaria Ferrara, responsabile provinciale scuola Sel – Pisa, con la forte speranza che prima o poi certi obbrobri non debbano più far parte di queste nostre storie.

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