Leggo da notizie di stampa che “nei tribunali può stare solo il crocifisso“. Oppure: “Sì al crocifisso negli uffici“; “Verdetto sul crocifisso: unico simbolo negli uffici pubblici“; “La presenza del simbolo non intacca la laicità dello Stato“. La frase si riferisce alla sentenza della Cassazione n. 5924/2011, resa in relazione al caso del magistrato Luigi Tosti. Lui, quello che si rifiutava di tenere udienza finché dall’intero tribunale non fossero stati rimossi i crocifissi presenti.

Messa così, la notizia sembra dire che il crocifisso è giustamente affisso nelle aule giudiziarie e che non è ammesso nessun altro simbolo. Ma ancora una volta si tratta di una mistificazione, di un messaggio ingannevole che vuole ancora riaffermare, forse neanche troppo implicitamente, le “nostre radici cristiane”. Sembra una nuova vittoria dei cristiani oltranzisti, quelli dei crocifissi ovunque (anche nei bar), pagati da tutti i contribuenti.

Ma la sentenza non dice affatto questo. La Cassazione lo spiega espressamente: “l’oggetto dell’incolpazione, e quindi del giudizio disciplinare, non era l’accertamento della liceità della presenza del crocefisso in tutte le aule giudiziarie, ma più semplicemente la legittimità della reiterata sottrazione del dottor Tosti ai suoi doveri di ufficio di prestare l’attività giudiziale, a cui era tenuto“. Si tratta quindi di un procedimento avente come oggetto la condanna da parte della Sezione disciplinare del Csm, irrogata nei confronti di Tosti.

L’accusa? Aver illegittimamente rifiutato di tenere udienza. La giustificazione non ammessa? La presenza del crocifisso.

Secondo Tosti, essa violava la sua libertà di religione e di coscienza. La Cassazione, invece, precisa che così non è: perchè a Tosti e agli altri magistrati che lo desiderassero era stata messa a disposizione una stanza apposita, libera da simboli. La sentenza della Corte passa proprio da qui, e solo da qui: non si discute se il crocifisso debba rimanere o no alla luce del principio di laicità. Si discute se sia lecito rifiutarsi di fare il proprio lavoro per una ragione che il datore di lavoro ha poi corretto, fornendo un ambiente privo del simbolo contestato.

Quanto al fatto che solo il crocifisso sia simbolo ammesso sulle pareti delle aule dei tribunali, si tratta di una considerazione ovvia. La legge parla solo di quel simbolo, non di altri. Quindi gli uffici non sono autorizzati a dotarsi di simboli diversi dal crocifisso, sicché per questa opzione occorre una modifica della legislazione vigente.

Al di là delle notizie falsate dal radicalismo pseudocattolico, che vorrebbe far dire ai giudici cose che questi non hanno detto per riaffermare quello che già sappiamo, basterebbe leggersi le pronunce giudiziarie prima di commentarle in modo tanto superficiale. Piuttosto, la Corte ha sottolineato un principio importante: che la presenza del crocifisso non può essere in alcun modo interpretata come il segno di un obbligo del giudice di esercitare la sua funzione in nome di Cristo. Questo sì sarebbe una gravissima violazione del principio di laicità.

Mi chiedo allora cosa ci faccia ancora lì quella croce.

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