Giuseppe Mazzitelli, responsabile grandi impianti sperimentali di Enea a Frascati

“Non possiamo non tenere conto di quello che è accaduto in Giappone. Siamo di fronte a un’apocalisse, un evento senza precedenti. Limitarsi a dire nucleare sì, nucleare no sarebbe da irresponsabili”. A parlare è Giuseppe Mazzitelli, responsabile grandi impianti sperimentali di Enea a Frascati, l’unica grande centrale in Italia dove si svolgono le prove di fusione e uno dei principali centri di ricerca a livello mondiale. Mazzitelli dirige la sezione dal 1999. Con lui proviamo a fare un ragionamento su quello che è l’ipotesi nucleare in Italia alla luce di quello che è avvenuto in Giappone. E da tecnico spiega che per prima cosa è opportuno “riflettere”.

La domanda che tutta Italia in queste ore si pone è una sola: il nucleare era e resta una priorità assoluta?
“Siamo di fronte a una decisione storica, ovviamente. E tutto, da oggi in avanti, passerà anche da quello che è accaduto in Giappone. Anche se ripeto: non minimizzare, ma neppure fermarci all’oggi”.

Senza farsi travolgere dalle emozioni, il nucleare è l’unica strada? E le riserve di uranio quanto dureranno ancora?
“Quello che riguarda l’uranio non è un problema. Le estrazioni sono addirittura diminuite nel corso degli anni e, soprattutto, abbiamo una risorsa che proviene dallo smantellamento degli arsenali nucleari”.

Dunque l’uranio non è destinato ad esaurirsi entro breve?
“No, non prima di 70 anni. Quando saranno in grado di funzionare le centrali di quarta generazione”.

Quando entreranno in funzione le centrali di quarta generazione?
“La data indicativa è il 2030, a essere pessimisti possiamo posticiparla di un altro decennio”.

E lei esclude le strade alternative al nucleare?
“Assolutamente no. Rinunciare alle energie rinnovabili sarebbe una follia. Lo ripeto e lo sottolineo, follia. Però noi dobbiamo fare piani a lunga scadenza, minimo 50 anni. E non possiamo dire combustibili fossili no, uranio nemmeno. Allo stesso tempo bisogna sfruttare le energie rinnovabili al meglio. Oppure fare scelte drastiche come la Germania”.

Cos’ha fatto la Germania?
“La Germania ha fatto una scelta importante sulle energie rinnovabili, ma al tempo stesso ha avviato una politica del risparmio energetico. Noi siamo in grado di rinunciare ai condizionatori? Il Paese è maturo per modificare le abitudini? E non dimentichiamo una cosa: nel mondo ci sono ancora 1 miliardo di persone senza energia elettrica. Un dato impressionante, troppo spesso ignorato”.

Lei è riuscito a capire cosa è avvenuto in Giappone? E’ il terremoto che ha messo fuori uso le centrali?
“No, il terremoto non ha neppure scalfito le strutture. E’ stato lo tsunami a causare i maggiori danni. Poi il reattore numero 1, quello maggiormente danneggiato, è comunque entrato in funzione nel 1971, dunque progettato tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta”.

Fosse stato progettato ieri?
“Non lo so. Sicuramente il reattore si è spento nel momento in cui c’è stata la scossa di terremoto. Successivamente però tutta l’area è rimasta senza corrente e per raffreddare le barre combustibili sono entrati in funzione i gruppi elettrogeni. Quando sono arrivate le onde provocate dallo tsunami i gruppi elettrogeni sono andati in tilt. E non c’è stata più possibilità di pompare liquido refrigerante. La temperatura è salita più del dovuto e il vapore ha creato una sorta di tappo. Fino a esplodere”.

E questo fattore di rischio non poteva essere previsto?
“Dalle fotografie aeree pubblicate sul New York Times si vede bene che la centrale di Fukushima è circondata da barriere frangiflutti. Loro, meticolosamente, avevano previsto onde alte fiono a sei metri. Il problema è che sono state più alte”.

Il terremoto è il principale rischio per i reattori?
“Mi adeguo a quello che ha detto Bertolaso: se in Italia ci fosse stata una scossa sismica potente come in Giappone nel Paese le uniche costruzioni rimaste in piedi sarebbero state le centrali”.

Qual è il punto critico all’interno di una centrale che può causare un incidente?
“Sicuramente il sistema di raffreddamento. E i francesi, in questo, sono assolutamente all’avanguardia: i loro impianti hanno quattro sistemi di raffreddamento, difficile che tutti possano essere messi fuori uso”.

Non esiste un fattore di rischio preciso?
“I fattori di rischio sono molteplici. I francesi lavorano anche sulla prevenzione del guasto a un singolo e apparentemente inutile interruttore. Quello che posso dire è che dopo le Torri Gemelle le centrali sono state costruite per resistere all’impatto di un aereo”.

E quelle costruite prima dell’11 settembre?
“Beh, quelle no”.

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