Ha detto recentemente il ministro Maria Stella Gelmini: «Non licenziamo nessuno perché nella pubblica amministrazione non si può e non si deve licenziare nessuno. Si tratta di contenere l’aumento del numero delle cattedre accumulato di anno in anno senza una ragione precisa: oggi questi esuberi non ce li possiamo permettere». Il solito banale “equivoco”, perché il ministro non dice che proprio in questi giorni le scuole sono costrette a fronteggiare un altro pesantissimo taglio di 32 mila posti (oltre 29 mila riguardano i docenti, il resto bidelli e impiegati di segreteria). Un taglio che sommato a quelli già attuati porterà la scuola italiana a contare su un totale di 87 mila posti in meno in tre anni.

E l’equivoco così si chiarisce: la Gelmini non licenzia, ma elimina posti di lavoro. E a farne le spese sono i 240 mila precari (il dato è ufficialmente riconosciuto dal Miur) attualmente iscritti nelle cosiddette graduatorie ad esaurimento in attesa di un posto sempre più difficile da trovare. Lo sanno bene coloro che da anni, e magari da decenni, hanno vissuto grazie a incarichi ottenuti per coprire cattedre vuote e che di punto in bianco si sono visti messi alla porta senza possibilità di recuperare posto e stipendio. Veri drammi esistenziali che vengono testimoniati in ogni parte d’Italia, ma che riguardano guarda caso soprattutto persone che erano riuscite ad evitare il baratro della disoccupazione soprattutto al sud.

Storie drammatiche, come quella arrivata nei giorni scorsi a www.scuolaoggi.org : “Graziella – scrive una lettrice – è una collaboratrice scolastica trasferitasi dalla Sicilia a Cava dei Tirreni (Sa), dove vive con il marito ed un figlio. Dall’anno scolastico 2009, grazie ai tagli nella scuola fatti dal trio Berlusconi-Tremonti-Gelmini, non è riuscita più ad avere un incarico annuale. Stessa sorte è toccata al marito, anche lui collaboratore scolastico precario. Graziella, definita “la pasionaria” dei precari di Salerno per la sua forza e determinazione nel portare avanti la lotta per il lavoro e la dignità da qualche mese non è più la stessa. Ha perso la forza fisica. Da giugno del 2010 non percepisce neanche più la disoccupazione. In quest’anno scolastico non ha avuto un giorno di supplenza. Lo stesso dicasi per il marito. Una famiglia di tre persone a reddito ZERO! Il figlio di 16 anni da mesi non frequenta più la scuola perchè non ha i soldi per comprare i libri, viaggiare e vestirsi”.

Per i precari della scuola in questa convulsa gestione degli organici le prospettive sono sempre più nere perché i tagli provocano paradossalmente il fatto che ci sia un numero crescente di operatori scolastici di ruolo che non sono licenziati, ma non hanno più il posto. Si calcola che a settembre saranno 10 mila in queste condizioni. Con quale prospettiva? Nel migliore dei casi saranno utilizzati per coprire i posti lasciati vuoti da coloro che vanno in pensione, posti che automaticamente vengono sottratti ai precari. Un drammatico gioco dei bussolotti, senza alcuna capacità di previsione di quello che si profila nel mondo scolastico per il futuro. Basti pensare al fatto che, secondo calcolo fatti sui dati del Miur, nei prossimi 10 anni andranno in pensione 270 mila insegnanti. Tanti sono coloro che in questo periodo raggiungeranno i 65 anni, quindi se ne dovranno andare. Come ci si prepara a questa evenienza? A chi toccheranno i posti lasciati liberi? Potrebbero andare agli attuali precari, sempre che nel frattempo non siano diventati tanto vecchi da diventare a loro volta fuori gioco. Posti per le nuove generazioni, allora? Ma con quale sistema di reclutamento? Altro problema ancora tutto da definire. Con la spada di damocle sempre più incombente delle pressioni leghiste di riservare i posti ai residenti. E comunque i concorsi restano bloccati, ormai da più di dieci anni.

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