È caduto come una bomba sul processo Rostagno il fascicolo dei Quaderni de l’Ora, l’ex glorioso quotidiano siciliano. Titolo: «Pista continua». Un evidente richiamo a Lotta continua, il gruppo nel quale aveva militato Mauro Rostagno, il sociologo e giornalista caduto in un agguato a Lenzi di Valderice (Trapani) nel settembre del 1988, e i cui presunti assassini sono oggi alla sbarra a Trapani.

Un processo di mafia, che vede imputati due pregiudicati, Vincenzo Virga e Vito Mazzara, entrambi già detenuti per altri efferati delitti. Di mafia, occorre ripetere.

Ed è una precisazione importante, perché benché fin dall’inizio apparisse chiara la matrice del delitto, ci sono voluti oltre 20 anni per scovarne e perseguirne i presunti autori.

In una delle prime udienze del processo, iniziato il 2 febbraio, il vicequestore Rino Germanà, che all’epoca coordinò le prime indagini della Polizia, ha spiegato ai giudici come apparisse altamente probabile che a volere la morte di Rostagno fossero stati coloro che giornalmente egli denunciava dalla tv locale RTC. E cioè le famiglie mafiose e i politici ad esse collusi.

Ma l’inchiesta su quell’omicidio fu quasi subito tolta alla polizia per essere trasferita ai carabinieri. E le parole «delitto di mafia» scomparvero dai fascicoli. Sostituite da «pista interna», «delitto fra amici». Le stesse che, in qualche modo, riecheggiano oggi dalle pagine dell’ultimo numero dei Quaderni de l’Ora. E che possono riassumersi più o meno così: «troppo semplice parlare di pista mafiosa, piace agli ex Saman (la comunità terapeutica fondata da Rostagno) e piace agli ex Lotta continua, in realtà bisogna occuparsi dei mandanti occulti». E quali sarebbero le piste alternative da seguire? Quella di un traffico d’armi con la Somalia, sulle cui tracce si era trovato casualmente Rostagno, pista effettivamente seguita, fra enormi difficoltà, dagli inquirenti e a quanto si sa non ancora abbandonata. E la solita pista del delitto Calabresi. Un’autentica ossessione. Non suffragata da alcun elemento. E quindi totalmente assente dagli atti giudiziari che hanno portato al processo di Trapani.

Il Fatto ha già scritto di questo processo e delle indagini che lo hanno reso possibile, ha rievocato i depistaggi che per decenni sono stati frapposti alla ricerca della verità. Lo ha fatto sulla base degli atti giudiziari. Qualcuno, invece, tira ancora in ballo documenti testimonianze inesistenti, documenti falsi, come quello confezionato da un capitano dei carabinieri di Trapani che indicava in Lotta continua il mandante dell’omicidio di Rostagno, che avrebbe potuto testimoniare contro i suoi ex compagni accusati del delitto del commissario. Ma in aula, a Trapani, sono state lette le trascrizioni delle parole (vere) pronunciate da Rostagno a RTC: è vero, lui vedeva sì l’ora di testimoniare a Milano, ma a favore dei suoi compagni di gioventù, non contro.

A distanza di tanti anni dai fatti, si respira un’aria densa di umori malsani, livori mai sopiti, convinzioni dure a morire anche di fronte agli atti di un’indagine condotta non certo da amici di Lotta continua o di Saman ma da magistrati esperti e coscienziosi.

È in questo clima che mercoledì 9 marzo Maddalena Rostagno la figlia di Mauro, sarà sentita come teste al processo.

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