L’ex pm della Dda Raffaele Cantone

La riforma della Giustizia “epocale” annunciata dal premier,  lascia perplessi e suscita malumori tra le toghe campane in prima linea contro la camorra. Come nel caso dell’ex Pm della Dda Raffaele Cantone, oggi consigliere del Massimario di Cassazione, che da anni vive sotto scorta per le minacce ricevute.

“Da quanto trapelato mediaticamente – spiega il magistrato di Giugliano – c’è una enorme preoccupazione per ciò che sarà al vaglio del Parlamento. Le perplessità riguardano i rischi di limitata tranquillità dei giudici che potrebbero rispondere in sede civile del loro operato. Ora, a prescindere che in seguito al referendum del 1988, furono già introdotte norme che regolano l’ attività dei magistrati, è evidente che ulteriori forzature in questo senso andranno a condizionare, quantomeno a livello psicologico, chi ha già l’arduo compito di giudicare se un determinato fatto abbia costituito o meno un reato. Ed è altrettanto scontato che questi timori si ripercuoteranno sull’intero sistema Giustizia sotto forma di ritardo e di indecisionismo che non potranno non nuocere sulla durata dei processi”.

Un capitolo a parte, poi, merita la possibile dipendenza dei pubblici ministeri dal ministro di Giustizia che potrebbe imporre loro di seguire una indagine piuttosto che un’altra. “Anche in questo siamo solo alle indiscrezioni – chiosa Cantone- ma se davvero queste notizie dovessero avere un fondamento legislativo si avrebbe l’allontanamento dei Pm dalla polizia giudiziaria. E questo creerebbe non pochi problemi per le indagini. Insomma, non mi sembra di scorgere nulla di buono all’orizzonte degli eventi governativi…”

Sulla stessa lunghezza d’onda di Cantone anche il Gip del tribunale di Napoli Raffaele Piccirillo, quello, per intenderci, che si è tolto la soddisfazione professionale di non veder rigettata dalla Cassazione la sua ordinanza di arresto per camorra a carico dell’ex sottosegretario e coordinatore campano del Pdl Nicola Cosentino. “A mio avviso bisognerebbe solo introdurre norme che sanzionino gli errori marchiani eventualmente commessi dai magistrati – spiega il Gip – e non quelle che sembrano finalizzate a mettere loro ansia addosso. Provo a spiegarmi meglio: un giudice che deve emettere una sentenza è paragonabile a un chirurgo che deve decidere se operare o non operare un paziente in quello che non è assolutamente un intervento di routine. Beh, se si fanno pressioni psicologiche su entrambi è probabile che gli stessi possano optare per scelte sbagliate. Ben altra cosa, invece, sono gli errori grossolani in cui noi magistrati possiamo incappare. E che non sempre vengono puniti come dovrebbero con l’eccezione degli errori meramente formali, tipo il ritardo di deposito degli atti e altri di questa tipologia non sostanziale”.

L’ultima annotazione di Piccirillo riguarda il rapporto di dipendenza che si verrebbe a creare tra il ministro di Giustizia e i pubblici ministeri: “In Italia l’obbligatorietà dell’azione penale non è altro che un feticcio: data la mole delle notizie criminis è materialmente impossibile che la magistratura apra indagini su tutti i casi che si prospettano. Detto questo, però, la riforma in embrione potrebbe peggiorare ancora lo stato dell’arte, nel senso che non è neanche lontanamente immaginabile che un ministro di Giustizia possa imporre a un sostituto procuratore di seguire una indagine piuttosto che concentrarsi su di un’altra, anche perché altrimenti si susciterebbe il sospetto che così facendo si privilegerebbero determinate categorie a discapito di altre”.

di Mario Tudisco

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