Morire in un letto d’ospedale il giorno del proprio compleanno. E farlo dopo tre interventi sbagliati. Può capitare. È capitato. Ritrovarsi in pericolo di vita per una garza dimenticata in pancia. O ancora, entrare in pronto soccorso per un esame di prevenzione al tumore e finire con il colon perforato. Quindi subire cinque operazioni e all’improvviso vedersi non solo menomato fisicamente, ma anche sull’orlo del licenziamento ad appena cinquant’anni. Può succedere. È successo. Dove? All’ospedale di Rho, comune a nord di Milano.

Qui è zona di Expo. Qui nasceranno le strutture per ospitare i visitatori dell’esposizione universale del 2015. La città del futuro, dunque. Che, però, deve fare i conti con la città del presente, con le sue storie e i suoi cortocircuiti. Ad esempio, questi episodi di malasanità, sui quali, da settimane, indaga la squadra giudiziaria del commissariato di Rho coordinata da Francesco Anelli e dal suo vice-dirigente Carmine Gallo. I fatti, verificatisi negli ultimi tre anni, si concentrano nell’unità operativa denominata chirurgia generale V° e diretta dal dottor Antonio Pallino, che non risulta indagato. Alla Procura di Milano, infatti, è aperto un fascicolo a carico di ignoti. “Ma – assicurano al Palazzo di Giustizia – a breve ci saranno nomi e cognomi”. Le ipotesi di reato per i presunti errori medici sono omicidio colposo e lesioni gravi. Il tutto proprio nella regione che nel 2010 ha investito oltre 15 miliardi di euro nel settore. Un tesoretto più volte sbandierato dal governatore Roberto Formigoni. Eppure è così. Ma c’è dell’altro: reati amministrativi che riguardano presunte falsificazioni di documenti sul consenso informato, necessario ai medici per operare.

Dopodiché, compulsando le trenta cartelle cliniche, sequestrate in questi giorni, gli uomini del commissariato si sono trovati davanti a storie da reparto degli orrori. Come quella che capita alla signora Valeria (nome di fantasia). La donna, 86enne, è malata terminale. Ha un tumore che presenta metastasi di quattro centimetri. In ospedale ci arriva l’11 marzo 2010 per un’occlusione intestinale. In questi casi, il buon senso vuole che i medici si limitino ad accompagnarla verso la morte nella maniera più dolce possibile. Al reparto del dottor Pallino, però, non la pensano così. E decidono di operarla. Sotto i ferri, Valeria ci arriverà dopo cinque giorni di agonia per essere sottoposta a una laparotomia esplorativa ovvero un taglio che parte dallo sterno e arriva fino al pube. L’operazione serve per confermare una diagnosi. Ma qui tutto è chiaro fin da subito. Conclusione: l’intervento non serve a nulla. La signora, dimessa con una peritonite acuta, morirà da lì a poco.

Proseguiamo. Il 31 gennaio 2010 il signor Mario (altro nome di fantasia) chiama suo figlio e gli sussurra: “È finita”. Sente che sta morendo. In quel letto di ospedale ci sta da cinque giorni. Ma nessuno si preoccupa di spiegargli come mai, nonostante l’intervento, continui a perdere sangue dall’ano. Mario all’ospedale di Rho arriva il 27 novembre 2009 per un’occlusione intestinale. Una settimana e viene dimesso con una diagnosi per diverticolite del sigma. La cura? Banali anti-infiammatori. Risultato: il 23 gennaio 2010 è di nuovo in ospedale. Ma questa volta con una peritonite che ha perforato il colon. Si decide di operare. Il 26 gennaio Mario è ancora in corsia. Ma sta male fino al punto da entrare in stato di choc emorragico. Naturalmente l’intervento è fallito. Un parente racconta di aver visto le infermiere quasi in imbarazzo “come se quello che stava accadendo fosse una cosa già successa ad altri pazienti”. Solo una seconda operazione, eseguita in maniera diversa e da un medico che non fa parte dello staff ristretto del dottor Pallino, gli salverà la vita.

La lista dei casi sotto inchiesta è lunga e dolorosa. E così a Marco (nome di fantasia) capita di subire un intervento oncologico senza che i medici sappiano le caratteristiche del tumore, perché chi doveva fare l’agobiopsia non è stato in grado di eseguirla. Di più: a operazione terminata Marco si ritroverà con pancreas e milza dimezzati, il tumore ancora nell’addome e un’invalidità “accertata” del 100%.

Cosa succede, poi, se una senza tetto con appendicite acuta occupa un letto di troppo? Si opera e in meno di una settimana la si dimette. Salvo riprendersela su ordine della polizia. La ragazza, infatti, uscita dall’ospedale, girovaga per strada, e alla fine si presenta in comune con la ferita aperta e sanguinante. Questi gli orrori. Gli investigatori hanno letto e riletto i racconti di familiari e pazienti. Eppure, per ora, i colpevoli non hanno nomi. L’inchiesta è a carico d’ignoti e dunque su queste vicende resta, come è giusto che sia, l’assoluto beneficio del dubbio. C’è il reato presunto, manca chi, per l’accusa, lo avrebbe commesso. I segugi del commissariato di Rho, però, vanno avanti. A ogni testimonianza trovano un riscontro. E giorno dopo giorno, il quadro diventa sempre più chiaro.

Articolo Precedente

Evasione delle accise, sotto inchiesta
l’azienda della famiglia Cosentino

next
Articolo Successivo

Lampedusa, proseguono gli sbarchi: 400 nuovi arrivi

next