“A volte la natura ha bisogno di una mano”. Ironia della sorte, la seconda edizione della fiera europea delle cliniche per la fecondazione assistita, che si è svolta proprio qui a Londra alla fine del 2010, promuoveva questo slogan mentre il governo inglese si apprestava a cancellare il servizio dal sistema sanitario pubblico. Un taglio operato silenziosamente, che fa parte di un disegno politico più ampio adottato in nome di un’austerity che si sta ripercuotendo molto pesantemente sul welfare inglese. E ora, nel paese dell’eccellenza per standard di qualità e sicurezza, molte coppie inglesi decidono di guardare all’estero per avere una chance di “aiutare la natura”.

E’ curioso, perché per la prima volta molti cittadini inglesi si ritrovano un po’ nei panni di quelli italiani: costretti a rivolgersi al di fuori del proprio paese nella speranza di poter avere dei figli. Ma se nel Belpaese il tema della fecondazione assistita è ostaggio delle diatribe politiche e delle restrizioni legali, qui in Inghilterra la situazione è invece dovuta all’impennata di costi della Ivf (in vitro fertilization). O per meglio dire, al colossale regalo di una consistente fetta di mercato “donata” ai privati, senza la minima condizione.

E chi non ha i soldi? Fa come molte coppie italiane che non possono avere figli: accende il computer e comincia a navigare tra le home page delle cliniche in Europa che offrono prezzi migliori. Magari con pacchetti di soggiorno “tutto incluso”. Ed ecco che, come ribadito sul Guardian da Francoise Shenfield, specialista in medicina riproduttiva allo University College London Hospital, la parola fertilità diventa sinonimo di business.

Tra le 6 e le 7.000 sterline costa in media il trattamento nelle cliniche londinesi. Tra le più care in Europa, offrono però un’altissima qualità nella tecnologia, nel servizio e negli standard di sicurezza. Ne costa già sole 4.000 in Belgio, dove il livello rimane comunque molto alto. A Nicosia (Cipro) per il costo di 3.940 sterline si può usufruire di un servizio all inclusive che comprende sei notti in albergo e collegamento con l’aeroporto, mentre in Messico il costo è di 4.316, o 5.013 se si vuole scegliere anche il sesso del nascituro. La Spagna, come molti aspiranti genitori italiani ben sanno, rimane un porto sicuro, ma la nuova meta è la Repubblica Ceca: costi bassi, ma standard di qualità fedeli alle direttive europee. Nell’elenco fa capolino anche Kiev (Ucraina), dove è più facile reperire ovociti.

Come riportato dalla stampa inglese, secondo i dati del governo nell’ultimo anno sono state oltre centro le donne sopra i 50 anni che hanno avuto un figlio grazie all’Ivf. Ma il governo Cameron sembra aver inquadrato il problema in maniera meramente economica: poiché la scelta di intraprendere il percorso della fecondazione eterologa rappresenta una forma di “domanda anelastica” (ovvero chi decide di avere un figlio non si ferma facilmente davanti all’ostacolo dei soldi), la macchina pubblica si può permettere di risparmiare risorse, poiché l’offerta privata può coprire buona parte del fabbisogno. Basta pagare. Poco importa così che molte coppie si ritrovino ad ipotecare la propria casa per la seconda volta, proprio nell’anno in cui i mutui impazziti hanno permesso alle banche di accaparrarsi le abitazioni di tantissime famiglie.

In Inghilterra, quindi, la crisi ha portato un impoverimento del servizio pubblico, ma senza danneggiare, nel bene e nel male, il settore privato. Rimangono invece senza nessuna alternativa, né pubblica né privata, i cittadini italiani che, lungi dall’arrendersi di fronte alle restrizioni, da anni sono costretti ad intraprendere l’unica via per avere un figlio: quella che porta all’estero.

di Simone Proietti, giornalista italiano a Londra

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