Ho cominciato da poco a capire qualcosa dell’Egitto moderno grazie a un collega italiano di Saad Eddin Ibrahim che, un paio di settimane fa, mi ha gentilmente spedito un articolo scritto dallo studioso egiziano.

Ibrahim, già professore di sociologia all’American University del Cairo, è un attivista democratico, assai critico nei confronti di Mubarak, ed è anche finito in prigione per le sue idee, poco apprezzate dal regime. Così, grazie a lui, incuriosita dalla sua recensione, ho letto, con qualche anno di  ritardo, Palazzo Yacoubian di Ala-Al-Aswani, un romanzo del 2002 che è diventato il libro più venduto nel mondo arabo dopo il Corano.

Scrive Ibrahim: “Ho scoperto Al-Aswani in prigione dove mi avevano rinchiuso con l’accusa di aver macchiato il buon nome dell’Egitto. Grazie alle sue parole uscivo dai confini della mia cella e mi ritrovavo nel Palazzo Yacoubian, un microcosmo della società egiziana che, all’epoca della pubblicazione, nel 2002, fece scalpore, divertì, e scatenò il dibattito sia nelle élites urbane che tra i comuni lettori”.

Il palazzo, costruito al Cairo negli anni ’30, esiste davvero e ha visto tempi migliori: Al-Aswani lo ha immaginato oggi, abitato dai suoi nuovi inquilini, di cui ricostruisce le storie delineando uno spaccato della società egiziana, afflitta dalla corruzione che dilaga a tutti i livelli.

Ed è proprio l’impossibilità di realizzare le proprie aspirazioni percorrendo le vie regolari che crea nelle generazioni più giovani il senso di inerzia e la perdita della speranza che rischiano di portare alcuni sulla strada dell’estremismo religioso, che pare offrire giustizia ed eguaglianza a chi sperimenta l’ingiustizia, la prepotenza e la violenza del regime.

“Il libro, – spiega Ibrahim –  come tutto il materiale che arrivava alla prigione, doveva essere approvato dagli ufficiali superiori ma, appena fu ammesso, lo chiesero in prestito tutte le giovani guardie e poi fu la volta dei miei compagni di cella. Accantonati provvisoriamente i loro ruoli, guardie e prigionieri discutevano tra loro del libro  alla sera fino a tardi. L’incontro ebbe il grande merito di rendere umana la difficile e brutta esperienza della prigione”.

Ma come mai Palazzo Yacoubian non ha subito censure? All’autore la domanda è stata rivolta spesso, e la risposta di Al-Aswani è interessante per capire che le dittature oggi possono esistere e prosperare anche  tollerando la pubblicazione di un romanzo scomodo: “Da 14 anni in Egitto vige una legge che dice più o meno: ‘Tu puoi dire quello che vuoi, noi facciamo quello che ci pare’. Da un lato può essere in qualche modo positivo, ma in realtà è solo una dichiarazione di facciata per il regime, una libertà di parola passiva. In un paese democratico, la libertà di parola dovrebbe produrre dei risultati politici, ad una denuncia dovrebbe seguire un’inchiesta e, all’inchiesta, le dimissioni di qualcuno. Invece in Egitto non succede mai niente, siamo in una realtà senza un libero Parlamento, perché le persone che vi siedono sono state elette attraverso elezioni finte, perché c’è la tortura come scrivo nel libro, ci sono migliaia di persone detenute illegalmente e così via. Il mondo arabo non conosce l’espressione ex-presidente, i presidenti sono tutti defunti, è l’unico modo in cui si cambia”.

Raggelante, anche per noi italiani.

Articolo Precedente

Parcheggiare sulle strisce? Una figata pazzesca

next
Articolo Successivo

Giuliano Ferrara torna in Rai. Spazio dopo il Tg1, dove c’era Il Fatto

next