L’idea di assistere a una premiazione, per di più a Montecitorio, non pare così stimolante. Ma scorgendo la lista dei giurati del Premio Internazionale Brunello di Montalcino Case Basse Soldera per Giovani Ricercatori, avevo notato alcuni dei più lucidi (per quanto annosi) esperti di vitivinicoltura: sicché ieri mattina mi sono indotto a presenziare. E difatti è stata un’occasione per ascoltare le considerazioni di illustri professori universitari non assoldati all’industria, quale Mario Fregoni o Massimo Vicenzini.

Gianfranco Soldera, che è uno dei produttori vinicoli italiani più piccoli eppure più noti al mondo, ha avuto il merito di sostenere un premio che intende promuovere l’eccellenza qualitativa nazionale, stimolare la ricerca come legame fra università e impresa, investire sui giovani. Locuzioni che ormai suonano vacue e inopportune. Ma che il premio ha cercato di rinsaporire, anzi di rinverginare. E, nonostante il patrocinio della Camera dei Deputati e del presidente della Repubblica, si sono affrontati argomenti davvero interessanti.

Il prof. Mario Fregoni ha parlato dei grandi movimenti della viticoltura mondiale. In una parola: globalizzazione. Come avevo già scritto: “Oggi, nei continenti extraeuropei, per ragioni perlopiù economiche e industriali, la viticoltura continua a espandersi in ambienti pianeggianti e irrigui (non vocati dunque): anche nelle aree sub-tropicali e tropicali, dove la vite viene maggiormente attaccata dai parassiti, ma può produrre 3 volte all’anno. In Europa, invece, si assiste a una fase recessiva della viticoltura di qualità…” e specie nei terreni vocati, che richiedono maggiore costi di lavorazione.

Peraltro Fregoni ha aggiunto che “si sta facendo viticoltura omologata in tutto il mondo, alleviamo quasi tutti i vigneti alla stessa maniera, perché le macchine sono uguali dappertutto. In Italia avevamo una ventina di modi e forme d’allevamento della vite e oggi ne abbiamo un paio. Inoltre la viticoltura mondiale si concentra su pochissime varietà, 10 al massimo, quando ce ne sarebbero 10 mila autoctone. Io sono pessimista. E penso che andrà ancora peggio. Il Cabernet Sauvignon è già coltivato in 45 paesi diversi. La globalizzazione poi trionfa anche in campo enologico, le pratiche enologiche hanno appiattito i vini annientandone l’identità o la diversità , ad esempio l’uso della barricche ha uniformato tutti i vini e oggi siamo abituati a bere quelli che io chiamo vini del falegname”.

Il prof. Massimo Vicenzini ha parlato di un argomento tecnico, che suscita ancora polemiche, oltre che dichiarazioni fallaci, ossia il profilo antocianinico dei vini da uve Sangiovese. In pratica ha mostrato gli esiti di 6 anni di ricerca all’Università di Firenze, di cui si è avvalsa la Procura di Siena nell’affare Brunello: è possibile identificare un profilo del vitigno Sangiovese, ben diverso da quello di altri vitigni quale il Merlot o il Cabernet, in quanto essi hanno una non trascurabile quantità di molecole pressoché assenti nel Sangiovese. Ciò confuta, ancora una volta, chi ha dichiarato che non ci siano prove che il Brunello sia stato tagliato col Merlot. O peggio anche con il Lambrusco.

Si sono poi considerate le altre implicazioni della ricerca. I vini da unico vitigno, cosiddetti monovarietali, sono soltanto il 4% della produzione italiana: quella che però eccelle nel mondo. Cambiarne i disciplinari di produzione, ammettendo un 15% di altre uve (vedi la modifica al Rosso di Montalcino, che è stata rimandata di qualche mese per timor di stampa avversa), implicherebbe alterarne le caratteristiche di riconoscibilità e unicità, globalizzandolo, in quanto basta anche solo un 2-3% di altre uve per alterare il sapore di un vino.

Rilevanti anche le considerazioni del prof. Cantarelli (Accademia Alimentare Italiana) e del prof. Cresti (Università di Siena), che ha ovviamente lamentato la mancanza di fondi destinati alla ricerca. Infine, sono stati premiati due giovani ricercatori, Matteo Gatti e Luca Collina, con menzioni d’onore ad altri loro colleghi, con la speranza che sappiano opporsi alla globalizzazione e contribuire al futuro del Sangiovese: che è poi il futuro del Brunello, che è poi il futuro del vino italiano.

Frattanto la valorizzazione della ricerca è lasciata alle iniziative private, seppure privati d’eccellenza come Gianfranco Soldera.

Articolo Precedente

La guerra di Troia

next
Articolo Successivo

Afro-italiani

next