Una delle peculiarità nefaste del governo Berlusconi è stata quella di aver trasformato il Parlamento in una sorta di macchina ratificatrice passiva dei provvedimenti della maggioranza, in particolare di quelle norme e leggi introdotte per desiderio (giudiziario) del presidente del Consiglio. Apponendo spesso la fiducia parlamentare e forzando i tempi dell’approvazione (aspetti di cui si è lamentato diverse volte anche il presidente della Repubblica), in modo da comprimere e annichilire il confronto/dibattito dello stesso Parlamento.

Prendendo spunto da tragici esempi del passato mai totalmente superati, potremmo dire che Berlusconi si è ispirato ad un vecchio adagio di mussoliniana memoria: “Farò di questa aula sorda e grigia un bivacco per i miei manipoli”. Ecco, la versione contemporanea made in Arcore potrebbe essere “Farò di questa aula sorda e grigia un registratore passivo delle mie leggi ad personam”. Ma il Parlamento è luogo istituzionale di fondamentale importanza, anche simbolica: rappresenta i cittadini e legifera a loro nome e nel loro interesse, discutendo i temi cari al paese. Almeno così dovrebbe essere, ma purtroppo non è più da tempo.

Oltre a questo aspetto di svuotamento di forza e senso del Parlamento, Berlusconi ha avuto anche il demerito di averlo costretto alla trasformazione in una sorta di grande mercato del consenso alla sua precaria maggioranza: transumanze di parlamentari da un gruppo all’altro (da PdL a Responsabili) e soprattutto acquisto di deputati e senatori, in cambio di denaro o incarichi o favoritismi di varia natura. Tutto solo e soltanto per sopravvivere politicamente e, quindi, evitare i procedimenti giudiziari che lo assillano, volendo egli essere legibus solutus.

Proprio per questa ragione, in forza del ruolo che la Costituzione e la democrazia assegnano al Parlamento, non condivido l’ipotesi – proposta da alcuni intellettuali ed esponenti politici – di compiere una sorta di moderno Aventino. A parte l’epilogo drammatico di quella esperienza storico-politica (all’Aventino delle opposizioni seguì il ventennio di Mussolini), sono convinto che attualmente le forze anti-berlusconiane devono presidiare e difendere ancora più convintamente il Parlamento. Anche come messaggio simbolico da inviare al paese, per rimarcare l’irrinunciabile natura parlamentare della nostra Repubblica, per non lasciarlo nelle mani degli eversori che ci (mal)governano. Anche se in Parlamento, fino ad oggi e come dimostrato il 13 dicembre, le forze di opposizione non sono riuscite a sfiduciare l’esecutivo. In parte a causa di una incapacità di fare “massa critica” omogenea e compatta (il Terzo Polo spesso ha innestato repentinamente la marcia indietro), in parte a causa della pervicacia con cui si è fatta largo la triste pratica della compravendita berlusconiana.

Condivido invece la sollecitazione e l’appello di Micromega ad estremizzare, da un punto di vista istituzionale, la situazione in Parlamento. Ci troviamo di fronte al pericolo di una rottura degli equilibri costituzionali attraverso le funzioni governative e parlamentari (con le prime pronte a fagocitare le seconde, oltre a divorare il terzo potere dello Stato: quello giudiziario). Per questo, tutta l’opposizione politica in Parlamento si deve unire e deve utilizzare ogni mezzo previsto dall’ordinamento giuridico e democratico per impedire a Berlusconi e alla sua maggioranza servile di continuare ad approvare leggi ad personas e leggi eversive e golpiste. Ma l’ostruzionismo, che può essere uno dei mezzi per far questo, richiede il massimo della presenza e il massimo della costanza nel frequentare il Parlamento. E’ ciò che l’Italia dei Valori da tempo sta facendo, è ciò che ci ha contraddistinti in questi anni: quante volte l’IdV, anche in passato, è stata protagonista dell’occupazione – reale e simbolica – della Camera e del Senato?

Accanto a tale strategia di difesa democratica del e nel Parlamento, resto fermamente convinto che è necessario dare apporto alla forte opposizione sociale nel paese: si sono infatti riattivate pacificamente le tradizionali forze rivoluzionarie – dagli operai agli studenti, dalle donne agli intellettuali – scendendo in piazza e lanciando appelli, diciamo che è partita una mobilitazione della società civile che fa sperare e che regala fiducia. Queste forze unite, più di ogni altro soggetto politico o istituzionale, possono mandare a casa il sultano del bunga bunga, possono spedirlo a riposarsi in un luogo lontano, in compagnia di chi per temperamento e concezione antidemocratica gli è più simile: Ben Alì, Mubarak e Gheddafi.

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