L’Italia contemporanea è un paese di dicotomie, di schieramenti contrapposti, di posizionamenti radicali e di scelte di comodo. È un Paese plebiscitario, esaltato dal televoto, in cui ogni cittadino tende a etichettare il prossimo sulla base di categorie precostituite e lo spazio per il confronto tra idee è difficilmente scevro dal pregiudizio o dalla diffidenza.

Sono un appassionato di formazione dell’opinione pubblica, sono schiacciato sulla mia contemporaneità e sull’attualità, dunque mi scuso sin da subito con chi riterrà la teoria che sto per illustrarvi provocatoria, semplicistica e paradossalmente manichea. Ma sono così convinto di ciò che vi dirò da voler correre il rischio di tagliare la storia d’Italia con l’accetta.

Ho grande rispetto per l’espressione “egemonia culturale”: appartenuta storicamente al mondo della sinistra, oggi mi pare buona per illustrare tutti i modelli sociali e culturali che sono ampiamente consolidati nella cittadinanza, oramai così radicati da essere vissuti con naturalezza, dati per scontati. Le egemonie si formano negli anni e senza una viva consapevolezza, così come tutti i movimenti dell’opinione pubblica: i processi si sedimentano e poi, a un certo punto, ci si rende conto di essere diventati protagonisti più o meno consapevole di un modello. E così, di essere posizionato su gradienti di diverse variabili.

Chi ha mosso l’opinione italiana è riuscito nell’obiettivo, non so quanto voluto ed esplicito, di semplificare enormemente il concetto di identità. Pur essendo tutti nel mondo di Internet, delle appartenenze multiple, liquide, gassose, tribali, siamo in realtà cittadini la cui posizione si muove su sole tre variabili.

1. Settentrionali vs meridionali. Che sia per scherzo o pensandolo sul serio, siamo tutti padani o terroni, con tutte le sfumature, l’accrocchio di pregiudizi e stereotipi sulla capacità relazionale, sulla produttività, sull’onestà, sul rispetto delle regole, sulla possibilità di fare impresa, sul clima, sulla qualità della classe dirigente, su chi paga le tasse, su chi traina l’economia, su chi vuole il federalismo e chi non ci pensa nemmeno, su chi spreca, su chi mangia la polenta, su chi va in vacanza nella parte “ostile”, su chi sporca, su chi sogna la secessione e così via. Tutte queste storie, vere o false che siano, hanno contribuito alla sostanziale sparizione del concetto di “Italia centrale” e, ben più importante, alla svalutazione dell’idea che l’Italia sia un concetto culturalmente, storicamente e anche geograficamente unificante. Se siamo meridionali siamo necessariamente di un tipo, se siamo settentrionali siamo di una categoria, con attributi mutualmente esclusivi rispetto agli altri;

2. Belli vs brutti. L’estetica corporea appare oramai un regolatore di altre variabili: se sei bello/a puoi parlare in televisione, puoi andare ai festini di Berlusconi, puoi fare carriera rapidamente, puoi lavorare in luoghi pubblici affollati, puoi “fare immagine”, puoi essere socialmente amato, puoi persino fare politica. Se sei brutto, tutte queste possibilità ti sono precluse o fortemente inibite. La spia della profondità e della serietà di questa egemonia si è accesa quando, commentando la recente proposta di candidatura di Rosy Bindi Premier, ho letto l’utilizzo di categorie estetiche come motivo dell’inefficacia della candidatura stessa. Quel “più bella che intelligente” di Berlusconi, espressione entrata sottopelle come una semplice battuta, è in realtà un pregiudizio fortissimo. Come tutte le egemonie, diventano nostre senza rendercene conto;

3. Berlusconiani vs. antiberlusconiani. Questa egemonia, in realtà, è quella che si è formata più di recente, pur apparendo la più consolidata e la più dura a morire. È stato Gianfranco Fini, infatti, a dare il via a questo nuovo modello sociale, creando la categoria degli antiberlusconiani di destra e, dunque, facendo saltare la precedente egemonia sinistra vs destra (o la più rozza comunisti vs fascisti). Infatti la sinistra e certa destra, i comunisti e certi fascisti, ora non sono più contrapposti ma uniti contro il premier. E così, ironia della sorte, è il presidente della Camera ad aver definitivamente lanciato l’egemonia culturale del plebiscito berlusconiano.

Per chiudere, una riflessione: le tre egemonie culturali sono figlie della stagione politica che va dal 1994 a oggi. Berlusconiani e antiberlusconiani ruotano, ovviamente, attorno all’oggetto del contendere. L’estetica è figlia della cosiddetta ideocrazia, del primato della forma sulla sostanza, dell’immagine sul contenuto. L’essere del Nord è diventato un attributo forte dell’identità personale da quando la Lega è diventata forza di Governo e ne ha fatto un caposaldo della propria ideologia. Proprio quella parte di mondo politico considerato da sempre come “culturalmente inferiore” rispetto all’intellighentia di sinistra ha, in realtà, formato i modelli in cui tutti noi, indistintamente, viviamo. Che ci serva da lezione.

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