Il segretario al Tesoro americano Tim Geithner

Dai vertici del G20 non ci si possono aspettare decisioni operative, non è quella la sede, ma una misura dei rapporti di forza. E la notizia che emerge dal summit di ieri, a Parigi, è che la Cina è sempre più forte e gli Stati Uniti più isolati. La tesi americana (e non solo) sostenuta dal segretario al Tesoro Tim Geithner fin dal suo insediamento è questa: dalla crisi si può uscire soltanto se i cinesi iniziano a consumare di più e a risparmiare meno, con il governo di Pechino che rivaluta lo yuan per frenare le esportazioni di merci cinesi e far rifiatare le poco competitive aziende americane.

La proposta di Geithner di limitare al 4 per cento i deficit o i surplus della bilancia delle partite correnti (cioè la misura di esportazioni meno importazioni, considerando anche aiuti internazionali e pagamenti di interessi sui prestiti) è stata affossata mesi fa. Da allora, come scriveva ieri il quotidiano Les Echos, “la Francia si è impadronita del dossier con l’obiettivo di riequilibrare le politiche economiche per assicurare una crescita forte, stabile e duratura”. Non per altruismo, ovviamente, ma nel proprio interesse.

Problema: come si stabilisce se un Paese è in equilibrio o no? Per due giorni i 20 si sono scontrati sui parametri da considerare, con spaccature diverse da quelle “ricchi contro poveri” cui siamo abituati. La Francia e la Germania, infatti, erano a fianco della Cina per evitare che venissero individuati come problematici i Paesi che esportano molto: nel 2009 Berlino aveva una bilancia commerciale più in attivo di quella cinese, cioè le sue esportazioni al netto delle importazioni pesavano sul Pil oltre il 6 per cento, quelle cinesi meno del 5.

Risultato: la Cina ottiene che nel calcolo degli squilibri con l’estero non si conti il flusso degli interessi che affluiscono nelle sue casse grazie al debito straniero che detiene, soprattutto americano. È una vittoria diplomatica, che rafforza anche gli altri membri della sigla Bric, Brasile, Russia e Cina. Gli altri parametri per giudicare i Paesi le cui finanze pubbliche sono una minaccia per l’economia globale saranno il deficit di bilancio e il debito pubblico, i debiti privati, i risparmi. “La tesi italiana diventa globale”, esulta il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che da sempre vuole venga considerato l’indebitamento privato (in Italia è basso) per giudicare la capacità di un Paese di sostenere quello pubblico (in Italia è stellare, quasi al 120 per cento del Pil). Ma il successo è solo simbolico: i titoli di debito pubblico devono comunque essere collocati sui mercati, agli investitori internazionali.

La Germania è riuscita a far prevalere facilmente la propria linea. Si possono indicare i parametri ma senza specificare le soglie oltre le quali diventano preoccupanti, è stata l’inflessibile posizione del ministro delle Finanze di Berlino Wolfgang Schäuble. La ragione è semplice: mentre la Germania sta plasmando l’Unione europea a sua immagine e somiglianza, dal punto di vista fiscale, non può accettare di essere indicata come Paese squilibrato in sede G20 soltanto perché esporta molto. E gli Stati Uniti? Geithner ha ribadito che la loro situazione fiscale è “insostenibile” e che “lo yuan resta sottovalutato”. Ma, dentro il G20, gli Usa sono i soli che possono condurre una politica monetaria aggressiva e unilaterale per correggere quelli che considerano gli squilibri globali. E lo stanno facendo, con la Federal Reserve che inonda il mercato di dollari. Quindi il prezzo in dollari delle materie continua a crescere. E il conto finale potrebbero pagarlo gli europei, con la Bce (più indipendente della Fed) pronta ad alzare i tassi per frenare l’inflazione indotta. Queste pressioni inflazionistiche “devono essere prese sul serio”, ha avvertito ieri il presidente della Bce Jean-Claude Trichet.

da Il Fatto Quotidiano del 20 febbraio 2011

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