“Il multiculturalismo di Stato è fallito”. Parole di David Cameron, premier britannico. L’occasione era la conferenza sulla sicurezza tenutasi a Monaco in Germania. Detto dal leader del paese più multiculturale d’Europa, ha tutto il sapore di una sentenza di condanna. Una simile frase è stata pronunciata quattro mesi fa anche dalla cancelliere tedesca Angela Merkel. Insomma, il dibattito sul multiculturalismo è di nuovo aperto dalla destra europea. Anche il ministro degli Esteri Franco Frattini interviene rivendicando le “radici cristiane” dell’Europa. Però resta strano che Frattini abbia escluso dalle radici anche la parte “giudea” che di solito viene aggiunta, diciamo come espiazione di colpa in una versione politicamente corretta. A meno che non c’entrino le omissioni volontarie della cancelliere tedesca che, si sa, ha da gestire anche un elettorato razzista che considera ancora oggi “gli ebrei buoni come il carbone”!

In ogni caso, è evidente il carattere strumentale del discorso sul multiculturalismo. La destra è in difficoltà. Non ha risposte efficaci per far fronte alla crisi. Allora serve qualche diversivo. E cosa c’è di meglio dallo scaricare i fallimenti delle loro ricette su un capro espiatorio? Ecco allora che si ricorre a un tema evergreen, un argomento che attecchisce: fermare gli invasori. E così si riscopre il desiderio di un “ritorno alle fondamenta”. Ecco perché serve chiarire cosa si intende con il termine multiculturalismo di Stato.

Diciamo subito che quel che viene declinato con il termine multiculturalismo non ha avuto riscontro pratico in Europa, se non in due casi: la ex-Jugoslavia di Tito e l’Olanda delle comunità religiose. Diciamo pure che il multiculturalismo come ideologia non è mai esistito in Gran Bretagna. Finora di modelli multiculturalisti veri e propri ne conosciamo pochi: Canada, Australia e Nuova Zelanda. In Gran Bretagna, e ancora meno in Germania, parlare di multiculturalismo di stato è solo propaganda. A meno che non si invochi il multiculturalismo avendo in mente la presenza degli immigrati, o dei musulmani. E in questo caso il rifiuto della presenza di persone portatrici di culture diverse significa xenofobia e/o razzismo.

In Gran Bretagna il modello applicato è riconducibile più al comunitarismo che non al multiculturalismo. Che senso ha parlare di “liberalismo muscolare” da sostituire alla “tolleranza passiva”? Che significa che uno Stato debba rinunciare a tutelare le minoranze? Che bisogna bandire le diversità? Insomma, qui l’obiezione sta nella libertà individuale che comporta la possibilità che ciascuno possa scegliere i propri universi culturali. Ormai il pluralismo culturale è una realtà con cui si deve convivere, a meno che Cameron e Frattini non vogliano bandire i gruppi sociali che non rientrano nelle radici cristiane. Mi auguro che i loro propositi falliscano, perché la politica non può cavarsela con rendite elettoralistiche che trasformano le nostre società in fabbriche di odio. Il tema semmai riguarda la definizione di una spazio pubblico condiviso regolato da un ordinamento statale capace di garantire libertà individuale e responsabilità nei confronti della comunità. Insomma, siamo immersi nei flussi della vita e ciò che la Storia richiede a ciascuno di noi è di sapere navigare verso un futuro armonioso…

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