«Ma lei pensa davvero che Berlusconi fosse proprio convinto della parentela di Ruby con Mubarak?», chiede Gad Lerner alla parlamentare azzurra Deborah Bergamini, ospite a l’Infedele, che non fa una piega. E conferma spudoratamente la panzana. Nonostante la stessa diretta interessata, la giovane marocchina sedicente egiziana, ora si stia facendo grasse risate al riguardo.

Però la deputata “faccia da poker” si rifà subito scaricando tonnellate di bile sulle compagne di genere che, manifestando a centinaia di migliaia domenica scorsa, le (ci) hanno dato una bella lezione sul tema “dignità”.

Un bel tipetto, la Bergamini: diventata direttore marketing in Rai per meriti conseguiti quale assistente personale alla comunicazione di Silvio Berlusconi, in un brillante ping-pong tra pubblico e privato che certamente ne premia l’indiscutibile, altissima, professionalità (ora si dice così!). Oltre che un evidente sprezzo del ridicolo, messo in mostra facendosi ritrarre seminuda con un drappeggio di pelle leopardata (vedere per credere le immagini su Google) quale reincarnazione di tal Catimandua, ipotetica “regina dei celti”. Sempre con quell’espressione impassibile che può dipendere tanto da un carattere di ferro come da uno stato di avanzata plastificazione; in linea con i criteri estetici del suo Capo e mentore.

Una donna che odia le donne. Non diversamente dalla collega Mariastella Gelmini; altra spudorata faccia da poker, che aveva provato a stroncare la ripresa d’iniziativa dell’altra metà del cielo (a cui in teoria dovrebbe appartenere pure lei) come parto del solito “salotto”. Si potrebbe dire che rispetto alle stanze della casa dove ci si incontra e socializza, già “spazio dedicato” nella civiltà dei Lumi, l’austera pedagoga di Brescia, l’indefessa propugnatrice della meritocrazia che i suoi esami d’avvocato andava a sostenerli in quel di Reggio Calabria, preferisce strutture abitative d’altro tipo. Magari la “porcilaia”, dove l’Umberto Bossi d’altri tempi (e antiberlusconiano pro tempore) confinava la genia fascistella?

Con queste donne che odiano le donne, rinunciando persino alla propria natura e al proprio genere, che ripetono la tiritera messa loro in bocca sui “puritani che criticano per invidia”, non vale proprio la pena di ragionare. Per un motivo molto semplice: sono in scoperta e clamorosa malafede. E – come ci dice un adagio anglosassone – “non ci si siede al tavolo da gioco con un baro”.

Sono in malafede perché le posizioni di prima fila che ora ricoprono dipendono direttamente ed esclusivamente dalla loro totale sottomissione a quel mondo che considera il femminile una merce di cui disporre a proprio piacere. Ecco dunque il vero motivo per cui le voci più inviperite contro la domenica in cui le donne hanno fatto sentire con forza e coraggio la propria presenza pubblica sono quelle di altre donne. Che si sentono personalmente minacciate dallo smascheramento di tutto quanto hanno accettato di subire al solo scopo di fare carriera. Per essere cooptate –in larga misura a fungere da tappezzeria – da quegli uomini che odiano le donne.

Uno spettacolo agghiacciante, in cui l’opportunismo arriva al punto di calpestare la propria intima natura. Ma di cui questi anni, all’insegna del più macroscopico cinismo, della più clamorosa sfrontatezza, ci ripropone continuamente gli esempi.

Tanto per dire, nonostante le ben note pulsioni omosessuali di una parte dell’alto clero italiano, è proprio la sua massima espressione – la CEI – a ergersi contro misure di modestissimo buon senso e cristiana carità, quali la regolarizzazione delle coppie del medesimo sesso.

Una schizofrenia (la crociata che – appunto – nega le ragioni stesse della propria natura) apparentemente incomprensibile. Ma che – invece – si capisce benissimo se ne leggi le retrostanti ragioni di potere. I vescovi dalla voce in falsetto e dalle mani ingioiellate, perseguitando il mondo gay, tutelano un ordine gerarchico che si puntella nel patriarcato; e che gioca a vantaggio del loro controllo sociale. Le donne che odiano le donne difendono le acquisizioni conseguite all’ombra del machismo, oggi rappresentato dal derisorio Partito dell’Amore (i cui portavoce sono odiatori a tassametro come il bravaccio Maurizio Belpietro o Alessandro Nosferatu Sallusti).

Nell’un caso come nell’altro, motivazioni del tutto inconfessabili. Che devono essere mimetizzate nei più svariati rivestimenti comunicativi. Ma la sostanza resta sempre identica: la malafede.

Nella piovosa giornata di domenica scorsa ci sono stati trasmessi molti messaggi importanti. Tra cui l’impellente necessità di ritornare nel nostro discorso pubblico alla priorità della buona fede. E si è aperto uno squarcio nell’immensa finzione che ha trasformato la politica in qualcosa di abbastanza ripugnante.

Il problema – ora – è fare in modo che lo squarcio non venga ricucito; magari dalle donne che odiano le donne, al servizio degli uomini che odiano le donne. Tenendo bene a mente che la totalità di loro – tanto gli uomini come le donne – non milita soltanto nello schieramento berlusconiano.

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