Il punto di forza è la concussione. Sono legate soprattutto alle telefonate di Silvio Berlusconi in Questura la notte tra il 27 e il 28 maggio le “prove evidenti” che motivano il “sì” del gip Cristina di Censo alla richiesta di rito immediato. Un documento di 27 pagine che contiene le ragioni per cui il premier deve essere processato a Milano e non dal tribunale dei ministri. Molte di quelle “evidenze” ruotano attorno alla notte della telefonata per salvare la nipotina di Mubarak. Berlusconi, parlando al telefono con Piero Ostuni, capo di gabinetto della Questura di Milano, non si limitò a chiedere che Ruby venisse lasciata andare contravvenendo le disposizioni del pm dei minori, ma si preoccupò di non lasciare tracce, ordinando di evitare tutte le procedure. Tanto che finirono per saltare anche le iniziative di prassi, come la fotosegnalazione: “Non fotosegnalatela”, fu l’ordine arrivato dai piani alti della questura. A riportarlo non sono testimonianze in ordine speso, ma una relazione di servizio della polizia finita sul tavolo del pm Antonio Sangermano lo scorso 28 luglio. Quella da cui sono partite le indagini.

“Durante l’ultima telefonata – si legge nella relazione che ilfattoquotidiano.it aveva già pubblicato il 31 ottobre scorso – l’assistente Landolfi veniva ragigunto di gran corsa (…) dal commissario capo dottoressa Iafrate Giorgia, la quale riferiva di aver ricevuto una comunicazione telefonica da parte del capo di gabinetto della Questura dottor Ostuni, dove si doveva lasciar andare la minorenne e che non andava fotosegnalata”. E’ soprattutto grazie al resoconto di due funzionari di polizia che il gip Di Censo, nel documento che accompagna la sua decisione, può scrivere che Silvio Berlusconi agì “sicuramente con abuso della qualità di presidente del Consiglio, ma, altrettanto certamente, al di fuori di qualsiasi prerogativa istituzionale e funzionale propria del presidente del Consiglio dei ministri, al quale nessuna competenza spetta in materia di identificazione e affidamento dei minori e che, più in generale, non dispone di poteri di intervento gerarchico nei confronti dell’autorità della polizia di Stato ovvero della polizia giudiziaria, impegnata nell’espletamento di compiti d’istituto”.

Certo, non c’è solo questo. Perché le “evidenze” emergono anche dai verbali di Ruby, in cui la ragazza spiega come la storiella della “nipote di Mubarak” fosse un’idea di Silvio Berlusconi, e di come il presidente si sia speso per procurarle i documenti: “Non preoccuparti, ci penso io”. Ma soprattutto, quello che emerge, è che sia Silvio Berlusconi, sia Nicole Minetti sapevano che Ruby era minorenne ben prima della notte in questura. Su Berlusconi, Ruby nell’interrogatorio del 3 agosto dice: “Fino a quel momento, la sera del 14 febbraio, Berlusconi sa che ho 24 anni. La volta successiva, mi ricordo era in marzo (…) torno ad Arcore e là, parlando con altre ragazze invitate, vengo a sapere che chi stava con lui, con Silvio, poteva avere la casa gratis”. Così decide di rivelargli l’età aggiungendo che non ha i documenti. Lui non si scompone, le consiglia di dire che è la nipote del presidente egiziano per giustificare la vita agiata che farà grazie ai suoi versamenti. E le dice anche “non preoccuparti dei documenti, me ne occuperò io”). Stesso discorso per la Minetti. Dice sempre Ruby il 3 agosto: “Nicole sapeva fin dall’inizio che ero minorenne. Era consapevole della mia minore età prima del mio ingresso ad Arcore, il giorno di San Valentino”. Un po’ il carattere di Ruby, un po’ il suo “problema” anagrafico. Così, quando la notte del 27 maggio la Minetti viene scelta dal Cavaliere di andare in Questura, lei è “un po’ titubante”. E definisce Ruby una “ragazza problematica” pur dicendo di conoscerla poco: “Ci siamo incontrate due o tre volte”. Anche se risultano 122 contatti telefonici tra febbraio e giugno 2010.

E mentre ieri dall’ufficio del giudice delle indagini preliminari sono partite le notifiche del decreto che dispone il giudizio e della richiesta di giudizio immediato dei pm – un plico di poco meno di 800 pagine, recapitato al Presidente del Consiglio e ai suoi difensori e a Ruby, ai tre funzionari della Questura di Milano e, tramite l’avvocatura della Stato, al ministero dell’Interno – emergono altri aspetti che arricchiscono il quadro accusatorio. Come la documentazione bancaria raccolta nelle ultime settimane. Tra cui alcuni movimenti su un conto corrente intestato a Giuseppe Spinelli, il tesoriere del premier: assegni e bonifici utilizzati per acquistare autovetture (lo stesso Berlusconi ha ammesso di avere “regalato mini cooper” a bisognose).

Se da un lato, quindi, i magistrati sono prudenti sulle dichiarazioni contenute nei cinque verbali di Ruby (quello del 3 agosto scorso è stato redatto in due tempi), ritenute credibili a “segmenti” perché contraddittorie in più punti. Dall’altro però nelle carte ci sono anche una serie di intercettazioni che testimoniano non solo come i suoi genitori, M’Hamed El Mahrog e la moglie Naima, fossero “a conoscenza di fatti riguardanti la vita di Ruby” ed evidentemente le sue frequentazioni milanesi, ma come lei stessa avesse cercato di impedire che la madre li rivelasse alla polizia che si era recata a Letojanni (Messina) per sentire la donna: “Devi dire alla mamma di alzarsi e dichiarare di non voler rispondere nulla”, dice Ruby al padre, che risponde: “La mamma sa quel che sta dicendo”.

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