Tanto rumore per nulla. Alla fine, la spaccatura interna a Futuro e Libertà, che ha oscurato persino la tre giorni di Assemblea costituente milanese del partito, si risolve con un’apparente pace tra le anime in contrasto. Da una parte quella che fa riferimento a Italo Bocchino, dall’altra quella di Adolfo Urso animato dal senatore Pasquale Viespoli che oggi ha fatto “pesare” i suoi uomini: prima si è dimesso poi è stato eletto capogruppo a Palazzo Madama. E con Benedetto Della Vedova che, designato capogruppo alla Camera tra i malumori di molti, garantisce che in realtà l’incarico sarà affidato solo attraverso un voto segreto. Insomma la crisi di Fli apparentemente rientra.

“Non c’è solo la dimensione di partito, c’è quella parlamentare. E’ quella che abbiamo affermato oggi”. Viespoli affronta i giornalisti a palazzo Madama e prova a decrittare quanto accaduto oggi nella riunione dei dieci senatori futuristi. E aggiunge significativamente: “E in questo gruppo ci sono persone che restano, anche in nome di una comune esperienza umana, pur non riconoscendosi in Fli”. Come dire che oggi, in quasi quattro ore di discussione, è stata evitata la frantumazione solo grazie ad un dibattito e a due atti: le dimissioni di Viespoli da un incarico frutto di nomina, e la sua successiva vera e propria “elezione” sulla base del mandato a confermare la collocazione nel centrodestra. Un dato che oggi Gianfranco Fini, che non si sarebbe sentito con i senatori, ai suoi ha mostrato di non considerare messo in dubbio: la linea inequivocabile è quella di rifondare il centrodestra e l’organigramma è in linea con questa volontà, quindi non cambia nulla. Il presidente della Camera avrebbe definito infondate le critiche ricevute e non avrebbe nessuna intenzione di ritoccare l’organigramma uscito dall’assemblea di Milano.

I senatori la pensano diversamente. Molti hanno riferito di percepire il rischio che quanto emerso dall’Assemblea, ossia la certezza della collocazione nel centrodestra, possa venire eluso da un assetto di vertice che non esclude la possibilità di un’alleanza innaturale con il Pd. Senza contare il fatto che un articolo de La Stampa, smentito da Fli, che attribuiva al vice presidente del partito Italo Bocchino una frase sulla non indispensabilità di un gruppo a palazzo Madama, ha mandato su tutte le furie i senatori.

Da oggi, di fatto, con l’autolegittimazione del capogruppo, che per di più rinuncia a presenziare alle riunioni dell’ufficio di presidenza, nascerebbe una sorta di repubblica autonoma rispetto alla creatura politica che ha appena visto la luce a Milano. Una repubblica che, sottolineano a palazzo Madama, può vantare l’unico dirigente autenticamente eletto e non nominato. Ma c’è chi assicura che senza la soluzione ideata da Viespoli almeno due senatori erano pronti a mollare e si fanno i nomi di Giuseppe Menardi e Francesco Pontone. Mentre il pressing dei colleghi del Pdl e, a quanto sembra, da emissari dello stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si sarebbe fatto sempre più insistente. “I rilievi di metodo e di merito erano così tanti che molti insistevano per la rottura pura e semplice” dice un senatore. Anche Maria Ida Germontani, che pure ha fatto sfoggio di cautela in questi giorni, assicura: “Viespoli ha fatto la cosa giusta. Ma ci tengo a dire che la collocazione nel centrodestra è la stessa indicata da Fini”. Ma resta fuori di dubbio anche la collocazione all’opposizione? “Siamo all’opposizione – garantisce Viespoli – ma all’interno di un centrodestra che tutti vogliamo costruire”.

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