Pensavo a mia nonna, Arcangela, che ha cresciuto cinque figli, vedova, in tempo di guerra e fascismo. Lei che dai fascisti non accetto’  mai nemmeno l’elemosina.

Pensavo a mia zia, Elena, che al mattino presto, quando era ancora quasi notte, camminava al lavoro. Chilometri nella penombra, con le camionette di soldati che passavano.

Pensavo a mia madre, Maria Pia, che non ha mai fatto una vacanza ma che, fra le prime cose, quando eravamo bambini, a me e mio fratello, ci ha insegnato a sedere composti.

Pensavo alle mie cugine Clara e Annamaria, che hanno macinato chilometri come treni, in quell’incubo chiamato “precariato della scuola”, senza nemmeno perdere la passione per il proprio lavoro.

Pensavo ad Anna, bella come il sole, che voleva fare la modella e che Lele voleva fra le sue “ragazze”. Ma lei ha detto no, perché “tutti sanno cosa succede in quei giri“.

Pensavo a Caterina che lavorava in televisione, dietro le quinte, e che un giorno disse al suo capo, che le “chiedeva di fare sesso con un suo amico” al quale lei piaceva, che era incinta e lui le rispose “non vedo il problema“.

Pensavo a Rosa, alla quale Caterina chiese aiuto, perché sapeva che avrebbe perso il suo lavoro, che le rispose “tutte abbiamo pagato i nostri prezzi, però poi possiamo guadagnare cifre che altrove nessuno ci darebbe“.

Pensavo a Manuela, laureata a pieni voti, che quasi ogni giorno mi racconta dei suoi sogni e della grande fatica per provare a realizzarli e del profondo sconforto che l’assale e che, cerco, nel mio piccolo, di arginare.

Pensavo ad Antonella, elettrice di Berlusconi, che è mia amica, preparata, intelligente, brillante e seria e che per questo, come tutte, fatica maledettamente a trovare un lavoro.

Pensavo a me. A tutti i no che ho detto e a quanto sia difficile mettere insieme i soldi per l’affitto e le bollette.

Pensavo a mia nipote, Serena, ai suoi sogni, e al fatto che il mio preciso impegno, come zia e come donna, sia, oggi più che mai, di non farle avere nemmeno il dubbio che ci sia il minimo rimpianto per quei no che ho detto, o che sua madre ha detto.  Per quanto difficile possa essere mettere insieme i soldi del vivere quotidiano.

Pensavo alle donne della politica che ho ammirato e che mi hanno deluso. Mostrandomi di essere incapaci, troppo spesso, di proporre, con convinzione, un mondo diverso in cui ci sia rispetto dei meriti e della dignità.

Non ho rimpianti. Nessuna delle donne citate ne ha o ne ha avuti. Ma rabbia sì e la rabbia fa bene. Non vedo perché non dovremmo essere arrabbiate.

Per questo, non sento empatia o pietà o dolore per la sorte delle ragazze alla corte del re. Io non sono un prete e non ho obbligo al perdono. Non giudico ma non sento nulla.

E, per quanto mi riguarda, non voglio più parlarne. La notorietà che le accompagna è uno schiaffo ulteriore alla dignità delle donne che quotidianamente mantengono in piedi un paese che altrimenti soccomberebbe.

Per questo, anche se questo blog sarà meno “popolare”, da oggi, se non “costretta”, non voglio piu occuparmi di quelle donne che “liberamente” hanno scelto una strada piuttosto che un’altra.

Voglio, invece, per quello che può servire, scrivere di altre donne degne di questo nome. Raccontatemi, se volete, la vostra eroica quotidianità e io la ri-racconterò qui, in questo blog. Perché si può sempre scegliere. E io oggi scelgo voi.

Articolo Precedente

Chi tocca Vallanzasca, muore

next
Articolo Successivo

Quando Sara diceva:”Se non ti spogli dove vai?”

next