di Alessandro Pezzella*

A valle della approvazione della legge n. 240 del 30 dicembre 2010 (legge Gelmini sulla riforma dell’Università), si sono avviati con differenti tempi e velocità i primi adempimenti previsti dalla entrata in vigore della legge.

Di fatto a pochi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale già le difficoltà e le incongruenze della legge fanno sentire i loro effetti:

– difficoltà nel costruire le nuove offerte formative la dove non è chiaro se potranno basarsi o meno sulla figura del ricercatore, docente sì per il computo del personale ma per legge non tenuto a fare lezione;
– seri problemi con lo svolgimento della attività di ricerca che l’articolo 18, commi 5 e 6 limita esclusivamente ad un numero di figure individuate da un elenco piuttosto ristretto.

A monte, in un certo senso, di questi ed altri problemi figura la riscrittura, prevista della legge con ben precisi limiti formali e temporali, degli statuti degli atenei.

Lo statuto contiene i principi generali di organizzazione e di funzionamento dell’ateneo e di fatto determina profondante i meccanismi le forme e gli spazi attraverso cui si attua il governo delle università dalla programmazione didattica alle attività di ricerca per finire alla gestione delle risorse.

E’ quindi evidente come il passaggio della riscrittura degli statuti sia critico e punto di snodo di interessi molteplici in funzione del territorio, dello scenario politico e di quello economico, della “vocazione” vera o presunta dell’ateneo, insomma di logiche spesso altre dalla tutela della formazione pubblica.

Spirito della legge avrebbe dovuto essere (ma ormai è ingenuo ancora guardare a mancanze e difetti del casatiello legge 240 ?!..) dare linee di indirizzo, che agissero da argine a derive di interessi di qualsiasi natura che non fosse il consolidamento e lo sviluppo del bene pubblico che la formazione universitaria è.

Cosa ci consegna la legge invece ? Quali guide per la riscrittura degli statuti? Soffermiamoci su questo punto.

Indicazione chiara e vincolante è il numero dei componenti e la provenienza di questi al di fuori degli organi collegiali per la formazione delle commissioni per redigere lo statuto. Dopo, il vuoto.

Vuoto totale, in particolare, su come questi componenti debbano essere individuati.

Aspetto in apparenza minore invece ecco il risultato: nelle università è in corso una “battaglia” per entrare in queste commissioni e per “caratterizzare” il gruppo che le compone. Caratterizzazione che, basandosi sulla possibilità (libertà? o mancanza della legge) di composizioni diverse in luoghi diversi e possibilità di declinarne i criteri di lavoro diversamente in territori diversi (Università Italiana o Feudi?), si profila spesso in funzione del lobbismo e di spazi di potere acquisito.

La capacità? Il merito? La valutazione? Nessuna di queste parole, slogan manifesto della legge, appaiono neppure in filigrana nelle indicazioni per la composizione di queste commissioni… Commissioni che logica vuole avrebbero dovuto essere il punto di partenza dell’altro slogan … la lotta ai baroni

Il risultato è invece, che proprio i baroni lavoreranno alla riorganizzazione politica dell’università in uno scenario assolutamente non trasparente speso con statuti gia semipronti o pronti e senza controlli democratici.

La Rete29Apirle come sempre non è interessata a difendere un diritto di rappresentanza basato sulla difesa dell’esistente, ma vuole che queste commissioni lavorino per minimizzare le possibili peggiori interpretazioni del testo della legge.

Per questo motivo si è impegnata da ora a seguire la composizioni delle commissioni e poi i lavori delle stesse. Per denunciare antidemocraticità e lavorare costruttivamente alla riscrittura degli statuti; sarà a breve disponibile sul nostro sito uno spaccato nazionale delle condizioni e modalità di composizioni nelle varie sedi.

Gia da ora sono approntate petizioni on line per Bergamo e Torino.

*Rete29Aprile

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