Il Cairo – Quando cala il buio e le urla dei manifestanti anti-governativi si calmano, fanno la loro comparsa le “ronde notturne”. Quartieri della capitale completamente bloccati da cittadini armati. Del resto la polizia, in giro per Il Cairo, non si vede da giorni. Neppure in quei quartieri a ovest del fiume Nilo, mai sfiorati dall’onda delle proteste contro il presidente Mubarak.

Al calare del sole spostarsi diventa difficile, quasi impossibile. Dagli uffici con connessione satellitare, nel quartiere di Guizeh, dove riusciamo ad inviare i nostri articoli, a Piazza Tharir, il cuore pulsante della protesta, ci sono meno di due chilometri. Ma raggiungere la piazza è un’impresa. L’autista egiziano viene fermato ogni 100 metri da uomini armati. Sono le “ronde notturne”: hanno fatto la loro comparsa in concomitanza con l’uscita di scena della polizia, che da quando si è ritirata ha lasciato via libera ai delinquenti comuni. Molti dei quali sono tornati in libertà dopo l’assalto dei manifestanti alle caserme della città.

E così, negozianti e cittadini, hanno deciso di creare il loro “corpo di polizia”. Sono armati di machete, bastoni, aste di ferro. Alcuni stringono in mano catene, altri fucili e pistole. Bloccano le strade dei quartieri con i pali dei cartelli stradali. “Chi sono?”, domanda in arabo uno dei giovani all’autista. “Sono giornalisti italiani, stiamo andando a piazza Tharir”, risponde. “Dateci i documenti”, ordinano come a un normale posto di blocco. La scena si ripete per otto volte in meno di due chilometri. Sul ponte che attraversa il fiume Nilo e passa di fianco a piazza Tharir, sono i militari a fermarci. Controllano l’auto e ci lasciano andare.

Durante la sera molti manifestanti si sono accampati nei giardinetti. Ogni notte sono sempre di più. La piazza è calda, ci crede in quello che fa e alle 6 del mattino i più arrabbiati iniziano ad urlare slogan contro il Raìs. Alcune signore con il burqa offrono tè e biscotti. Ma è nelle prime ore del pomeriggio che le strade si riempiono a vista d’occhio. Ragazzi, tanti, ma anche uomini adulti, religiosi e non, donne, bambini. Urlano contro il “dittatore”. Achraf è un avvocato egiziano. Da giorni scende in piazza. Dice che, “domani, saremo più di un milione. Marceremo verso il palazzo presidenziale. Se la polizia non ce lo permetterà e deciderà di spararci e ucciderci come sabato, dovrà anche assumersi la responsabilità di quello che ha fatto. Indietro non si torna”. La rabbia sale, molti cartelli hanno il volto di Mubarak con una Stella di David, simbolo israeliano, in fronte. Qualcuno brucia un cartello con la bandiera americana disegnata accanto a quella dello Stato ebraico. “Mubarak ha finito – dice un ragazzo che ha ancora l’accendino in mano – è solo questione di giorni e se ne dovrà andare. Non avrà problemi a trovare posto accanto ai suoi amici israeliani e americani”.

I militari stanno a guardare dagli angoli della grande piazza Tharir. Hanno chiuso l’area di fronte al Museo Egizio, danneggiato nei giorni scorsi, e osservano a bordo di mezzi blindati e carri armati. Con lo sciopero generale indetto per domani, la piazza è già piena nelle prime ore della sera e in molti si accampano nelle vie limitrofe. C’è il timore di nuovi scontri. Ma la protesta va avanti. E domani potrebbe essere una giornata decisiva per l’Egitto.

di Andrea Bernardi

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