Paolo Biasi, 72 anni, nome in codice “La Sfinge”, superboss della Fondazione Cariverona, è uno degli uomini più potenti della finanza italiana. L’Ente che presiede, forte di un pacchetto del 5 per cento di Unicredit, ha giocato un ruolo decisivo nel ribaltone che nei mesi scorsi ha messo fuori gioco Alessandro Profumo. Capita che Biasi, che è anche imprenditore, sia inciampato in un’inchiesta giudiziaria per il fallimento di un’azienda di famiglia. L’accusa è bancarotta preferenziale.

Problema: lo statuto della fondazione prevede la sospensione dei consiglieri in caso di condanna in primo grado. Biasi, in sella da quasi vent’anni, poteva farsi da parte in attesa che venissero chiariti i fatti. In altri tempi sarebbe successo così. Che credibilità può avere un banchiere accusato di bancarotta? E invece, com’era prevedibile, è arrivato il salvagente. Con l’appoggio del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, socio pesante della Fondazione, venerdì scorso l’ente ha varato una modifica dello statuto. Adesso il consigliere condannato in primo grado viene sospeso, ma il consiglio generale della Fondazione ha la facoltà di reintegrarlo immediatamente. “Abbiamo adeguato il regolamento a quanto è previsto dalla disciplina generale su banche e assicurazioni”, questa in breve la spiegazione ufficiale che arriva da Verona.

Proprio così: gli amministratori di banche e assicurazioni condannati in primo grado possono essere reintegrati dagli azionisti. Cioè, di solito, quegli stessi poteri forti che li hanno nominati la prima volta. Lo abbiamo visto negli anni scorsi per Cesare Geronzi, rimesso prontamente sul trono di Capitalia e di Mediobanca dopo un paio di scivoloni giudiziari. E Biasi può essere da meno di Geronzi? No, ovviamente. Ed ecco la norma salvapoltrona. “Un lavoro ben fatto”, ha commentato il leghista Tosi.

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