Parla in un Lingotto gremito l’ex segretario del Partito democratico Walter Veltroni. A quattro anni di distanza da quello che fu l’inizio della sua ascesa, solo posti in piedi e un cambio radicale nel linguaggio per il leader dei Modem. In mezzo c’è stata la segreteria del partito, la sconfitta elettorale che ha portato anche Roma nelle mani del centrodestra, le tensioni interne al Pd degli ultimi mesi, per non dire anni.

Se per tutta la campagna del 2008 l’ex segretario non aveva mai nominato “il principale esponente della parte avversa”, è proprio da Berlusconi che parte quest’oggi Veltroni. “Per una volta pensi ai cittadini e non a se stesso. Si dimetta”. E poi il rapporto coi giudici, l’Italia schiava della sua situazione giudiziaria. Il racconto di “una rivoluzione liberale” ch non c’è, naufragata “tre volte, e sempre dando la colpa a qualcuno”.

Veltroni saluta Bersani e Franceschini, che lo ascoltano in platea, ricorda l’assenza di Letta e Bindi, a Terni per i funerali dell’ex sottosegretario Micheli. Poi parte a raccontare il Pd che vorrebbe: “Il nostro obiettivo è quello di far diventare il Pd il primo partito italiano – dice – il calo di fiducia nei confronti di Berlusconi non ha portato un aumento dei consensi nei confronti del Partito democratico. Non abbiamo conquistato questa fiducia che Berlusconi non ha più. Per farlo abbiamo bisogno di un progetto credibile di governo”.

L’ex segretario interviene anche sul nodo delle alleanze, da sempre terreno di scontro con Pierluigi Bersani: “Non si possono fare delle coalizioni eterogenee che siano soltanto contro qualcuno. Dobbiamo affrancarci da questa illusione frontista. Dobbiamo proporre invece ai cittadini coalizioni coese che siano poi in grado di governare”.

Se il Pd vuole “tornare a conquistare il cuore degli italiani”, dice Veltroni, dovrà avere il coraggio di abbandonare strategie che si sono rivelate fallimentari. Affinché il partito democratico possa essere “protagonista del futuro”, ha detto l’ex segretario. “bisogna liberarsi dalla tentazione di un populismo di sinistra – il populismo di Berlusconi si batte con il riformismo”. E poi, aggiunge “bisogna avere il coraggio dell’innovazione. Il motto dei democratici deve essere non difendere ma cambiare. Il Pd deve orientare il cambiamento”, ha concluso.

Poi l’ex segretario ha affrontato la questione Fiat e il referendum di Mirafiori. “A quei lavoratori, al loro sì contrastato e sofferto pensiamo debba andare il rispetto, l’ammirazione, la gratitudine di tutti gli italiani così come occorre comprendere le ragioni del no e con esse dialogare”. E continua: “Abbiamo espresso un convinto consenso ai pur difficili e dolorosi accordi su Pomigliano e Mirafiori”. Sottolineando che “il successo dell’operazione Fiat-Chrysler è di importanza strategica per il futuro del paese”, Veltroni afferma che “senza gli accordi non ci sarebbe stato l’investimento: Napoli, Torino, l’Italia avrebbero visto ridimensionata una presenza industriale che deve invece essere confermata e rilanciata. Con gli accordi Fiat ora è chiamata a confermare ed estendere il suo radicamento in Italia ed è chiamata a mostrare la sua forza inventando prodotti competitivi e sui mercati. Con gli accordi -ha concluso- per i sindacati, la cui unità non dobbiamo mai smettere di cercare e promuovere, per le imprese e per la politica, sia è aperta una fase nuova una stagione paragonabile a quella in cui si affermò una nuova legislazione del lavoro ormai decine di anni fa”.

Veltroni ha poi suggerito che la retribuzione dei grandi manager, a cominciare proprio da Marchionne, sia legata ai risultati operativi: “Basta con esagerate stock-option e premi milionari per i manager, esercitabili senza vincolo temporale e centrati sui risultati finanziari e speculativi di breve periodo, anziche’ su quelli industriali, con l’inevitabile, conseguente conflitto di interessi, fonte di sospetti e di sfiducia”.

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