La vicenda giudiziaria di Salvatore Cuffaro inizia il primo luglio 2003. L’ipotesi di reato è concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i pm, avrebbe voluto favorire dall’esterno, in maniera sistematica, l’organizzazione mafiosa, ad esempio facendo vincere un concorso a due medici raccomandati dal medico-boss Giuseppe Guttadauro e accettando i condizionamenti di quest’ultimo nelle nomine dei primari negli ospedali, agevolando una variante al piano regolatore di Palermo per consentire la realizzazione, su un terreno della moglie del capomafia, Gisella Greco, di un ipermercato.

Cuffaro avrebbe per questo motivo boicottato le autorizzazioni alla costruzione di un altro centro commerciale, a Villabate, non lontana da Brancaccio. Inoltre, Guttadauro avrebbe ottenuto, grazie a Cuffaro, la candidatura di Mimmo Miceli, che del chirurgo mafioso sarebbe stato diretta espressione. Uno dei principali favori, poi, sarebbe stato l’aver consentito di scoprire la microspia che il boss aveva nel salotto. L’accusa di mafia era, però, naufragata di fronte agli sviluppi dell’inchiesta: si era scoperto un secondo episodio di rivelazioni di segreti, attribuito a Cuffaro, e il pool coordinato da Grasso e dall’aggiunto Giuseppe Pignatone aveva preferito puntare su episodi concreti e ritenuti provati. L’episodio Guttadauro era diventato cosi’ uno dei due elementi centrali della nuova contestazione di favoreggiamento e rivelazione di segreto aggravati dall’agevolazione di Cosa Nostra. Di fronte alla richiesta di archiviazione dell’indagine per concorso esterno si era dissociato il pm Gaetano Paci che, nell’estate 2004, aveva lasciato il pool, di cui facevano parte Nino Matteo, Maurizio De Lucia e Michele Prestipino. Alla fine del 2006 aveva lasciato anche Di Matteo, che avrebbe voluto che al governatore si contestasse il concorso esterno in aula. Di questo reato, tuttavia, Cuffaro è stato poi chiamato a rispondere comunque ed è attualmente sotto processo davanti al Tribunale di Palermo, dove la Procura ha chiesto la sua condanna a 10 anni.

Salvatore Cuffaro il 23 gennaio del 2010 viene condannato a 7 anni con l’aggravante di avere agevolato la mafia nell’ambito del processo per le ‘talpe’ alla Dda di Palermo. La sentenza, emessa dalla terza sezione della Corte d’appello di Palermo presieduta da Giancarlo Trizzino dopo quasi 25 ore di camera di consiglio, aveva determinato una pena più grave dei cinque anni che erano stati inflitti in primo grado dal Tribunale di Palermo presieduto da Vittorio Alcamo il 18 gennaio del 2008. La pena più pesante comminata in appello era stata motivata con l’applicazione dell’aggravante, contestata dalla Procura, di aver favorito Cosa Nostra.

Passano otto giorni tra la condanna e le sue dimissioni da presidente della Regione siciliana il 26 gennaio. Riconosciuto colpevole di favoreggiamento semplice dal Tribunale che aveva escluso l’accusa di mafia e gli aveva inflitto 5 anni, Cuffaro in aula alla lettura del verdetto si mostra sorridente: aveva sempre detto che si sarebbe dimesso solo se in caso di condanna aggravata dall’agevolazione di Cosa Nostra, da lui sempre contestata con forza, e sentiva che la sentenza gli aveva dato ragione. Sul piano giudiziario sì, ma non su quello politico. Il presidente viene assediato da un’ondata di inviti a dimettersi, la sinistra riempe Palermo di manifesti contro di lui. Ma si muove anche il governo avviando l’iter per la sospensione del governatore dall’incarico, che si sarebbe poi concluso a dimissioni già date.

La resistenza di Cuffaro si infrange solo davanti a un ormai famoso vassoio di cannoli. Il presidente aveva convocato i giornalisti a Palazzo d’Orleans per una conferenza stampa e fu immortalato mentre prendeva la guantiera dei dolci, inviatagli per confortarlo da un pasticciere suo compaesano e amico. Quella fotografia finisce sulla prima pagina di tutti i giornali, e su Cuffaro piovono strali perché “festeggiava” dopo essere stato condannato. Lui tenta di spiegare che non c’era nessuna festa e il vassoio stava solo spostandolo per far posto ai giornalisti. Ma invano. Due giorni dopo la foto con i cannoli, Cuffaro si presenta all’Assemblea regionale e annuncia le sue dimissioni.

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