Gli operai della Fiat sono uomini in carne e ossa”, scriveva Antonio Gramsci dopo lo sciopero del ’21 che dopo un mese di lotte e sofferenza si concluse con la sconfitta del sindacato e il licenziamento di più di 3500 lavoratori.

Ieri Liberazione ha riproposto un testo che novant’anni dopo conserva intatta la sua forza commovente. Perché in quegli antichi operai che “sapevano di resistere non solo per sé ma per tutta la classe operaia italiana”, abbiamo visto gli stessi operai “in carne e ossa” di oggi. Quelli del Sì e quelli del No, “immersi in un ambiente generale di stanchezza, di indifferenza, di ostilità.

L’altra sera, le dirette televisive da Mirafiori ci mostravano i volti solcati di questi uomini e di queste donne in attesa di un risultato decisivo per le loro esistenze. Veniva da pensare alla solitudine dell’operaia Maria che ha raccontato a Luca Telese dei mille euro al mese e della catena di montaggio, 50 operazioni all’ora, che scappa se perdi il ritmo. Ha votato No “perché ai figli bisogna dire che si è stati a schiena dritta, non che si può strisciare come vermi”.

Siamo contenti che come lei abbiano votato in così tanti, che sarà difficile per Marchionne e i laudatores in ghingheri fare finta che non esistano. Siamo contenti che abbiano vinto i Sì, perché è facile fare i barricadieri con il lavoro degli altri.

Siamo contenti che l’Italia sia fatta di uomini e donne davanti a cui togliersi il cappello. E non solo di vermi che strisciano, di minorenni comprate e di dignità venduta.

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