Se ci sono pozzanghere in paradiso, oggi è lì che Christina sta saltando. E qui, sulla terra, noi ci mettiamo la mano sul cuore e ci impegniamo, come americani, a forgiare un paese meritevole per sempre del suo spirito gentile e felice”. Con queste parole, pronunciate con visibile emozione, Barack Obama, ha concluso, mercoledì sera, il suo intervento alla cerimonia commemorativa per le vittime della strage di Tucson. Le parole di un padre rivolte, prima di tutto, ad un altro padre e ad una madre seduti lì a pochi metri, senza neppure più lacrime. Per 34 minuti Obama è stato il padre di Christina e allo stesso tempo il padre di suo padre, come presidente di quel paese che ha dato la vita e la morte alla piccola Green. Persino Glenn Beck mai, non dico generoso ma giusto con il presidente, questa volta lo ha ringraziato per essere stato il “presidente di tutti gli americani”. Nell’università dell’Arizona, fra la gente “ferita a morte”, Obama è arrivato con un compito difficile, quello di consolare e risollevare, indicando la strada per la guarigione. Il compito di tutti i presidenti. Lo stesso che toccò a Regan dopo l’esplosione dello shuttle Challenger e a Clinton dopo la strage di Oklahoma City: entrambi ebbero il merito di far sentire il paese meno smarrito.

Il discorso di Obama è stato un discorso perfetto sotto tutti i punti di vista perché ha toccato molti temi, come quello della necessità di riportare il tono della politica ad un livello di civiltà o dell’importanza che il paese si occupi di chi ha problemi mentali, oggi per lo più abbandonati a sé stessi. Ha fatto appello all’unità e alla solidarietà come strumenti indispensabili per provare a costruire un paese all’altezza delle aspettative della piccola Christina. Tutto senza mai perdere di vista il principale obiettivo: celebrare le vite dei caduti, simboli della parte migliore di quest’insieme, incredibilmente eterogeneo, di stati che è l’America.

E, soprattutto, Obama è stato un padre che sente la responsabilità di spiegare ai propri figli come sia possibile morire a nove anni mentre si cerca di entrare in contatto con la forma più alta della democrazia, cioè la partecipazione alla vita pubblica. Parlando di Christina e onorandone la memoria, Obama ha ricordato agli americani che bisogna essere buoni padri e buone madri per i nostri figli, per essere degni di ciò che loro si aspettano da noi. Ciò che il paese non ha saputo dare a Christina. E i buoni padri e le buone madri non lasciano in giro pistole che possono uccidere. Non parlano con odio di chi ha idee diverse dalle nostre, o pelle diversa o ceto sociale diverso. I buoni padri e le buone madri ti rimboccano le coperte e ti raccontano il bello della vita e poi provano, ogni giorno, costantemente a realizzarlo per te, prima di passarti il testimone.

Obama, a cui tutti, indistintamente, hanno riconosciuto il merito di aver ritrovato intatte le sue straordinarie capacità oratorie, quelle in grado di comunicare una visione che possa unire e confortare perché basata sulla speranza, ha ricordato a tutti che, anche se non è facile, anche se si cade, anche se si sbaglia è possibile, sempre, scegliere la strada che vogliamo percorrere. Scegliere fra la visione di un mondo degno di una bambina di nove anni e la più semplice possibilità di un disgraziato (nel senso di privo di grazia) ambiente per soli adulti, volgare ed oscuro.

In una lettera al New York Times, Alfred Niese, cittadino del Maine, scrive “il presidente (con il suo discorso) ha portato la nazione in cima alla montagna. Se ricadremo nel baratro, non sarà colpa sua, ma nostra”.

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