Un atto parlamentare così spropositato, pretestuoso e dirompente sul piano umano, che rappresenterebbe un’onta non per me che lo subisco ma per voi che lo promuovete”: così Sandro Bondi ai vertici del Pd, in una lettera pubblicata su Il foglio il 16 dicembre. Già, perché Bondi è convinto che si sia scatenata una campagna mediatica contro di lui, in un crescente clima di odio nei suoi confronti, da parte del temibile centrosinistra del Pd e del giustizialismo forcaiolo dell’Idv di Di Pietro.

Naturalmente Bondi non paga esclusivamente colpe sue. In fondo, è ministro di un governo che quando sente parlare di cultura mette mano se non alla pistola, quantomeno ai lettori di codici a barre di Tremonti, che suggeriscono sempre di svendere, mai di valorizzare. La cultura è un costo, e i costi si tagliano. E Bondi non è certo lì (così come i suoi predecessori) per meriti in ambito culturale. Ma allora perché è stato scelto proprio lui, perché chiedere proprio all’orrido Bondi di agevolare, come fa il glicerolo, l’espulsione della cultura dai settori che contano, sia pure con evidenti cadute di decenza (si ricordi lo scandalo bulgaro)? Perché Bondi è il coordinatore del Pdl. E, in seconda battuta, perché per essere il coordinatore del Pdl occorre essere talmente fedeli al capo (non così per Cicchitto, la cui aggressività e tracotanza fanno pensare a una doppia fedeltà, al capo e ai leader delle organizzazioni di cui si aveva la tessera in tempi lontani) da annullare volontariamente qualsiasi tratto della propria personalità possa entrare in conflitto con il compito di amplificare unicamente la voce del capo stesso.

Bondi sarà orrido, ma è difficile trovarlo antipatico. Perché la studiata obbedienza cieca al capo lo rende, paradossalmente, più umano. Ma è un errore nel quale occorre non cadere: il principale successo di Berlusconi è quello di aver fatto credere all’Italia che le classi dirigenziali, e in primis quella politica, devono adeguarsi al ribasso, devono non solo presentare gli stessi difetti storici degli Italiani, ma farsene megafono, rappresentarli pubblicamente per trasformarli in punti di forza agli occhi dell’elettorato. La tragedia italiana ha i suoi attori protagonisti in Sallusti, nella Santanché, in Bondi, e in tanti altri miracolati come loro. Che probabilmente non avrebbero avuto bisogno di un palcoscenico simile, potevano accontentarsi di recitare in teatri meno vasti. Berlusconi, al contrario, aveva proprio bisogno di loro. Per questo sarebbe davvero un bene, se Bondi fosse sfiduciato.

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