Christina Taylor Green era nata mentre le Torri gemelle crollavano. Nel giorno in cui il paese aveva scoperto la propria fragilità, John e Roxanna Green avevano guardato in faccia alla vita, attraverso gli occhi della loro bambina. “Sono nata in quel giorno, sono qualcosa di buono arrivato al mondo in quel giorno”. Cosi ripeteva Christina spesso, nel giorno del suo compleanno. Poco più di nove anni e molti sogni, fra cui quello di fare politica. Come Gabrielle Giffords. Christina la stava ascoltando quando uno dei proiettili sparati da un ragazzo, non tanto più grande di lei, le ha fermato il cuore. E i sogni.

Il volto sorridente di Christina è un colpo allo stomaco, così come quello di Jarod Loughner, l’attentatore ventiduenne che sabato scorso ha sparato a Tucson ferendo l’America. Due colpi allo stomaco: Christina, per la dolcezza, il sorriso felice e gli occhi vivaci che sembrano parlarti di quel mondo migliore che lei avrebbe contribuito a costruire; Jarod, per i chiari segni di uno squilibrio mentale, tradotto in occhi spiritati e sorriso beffardo, su una faccia senza neppure più l’ombra di un’adolescenza normale.

Jarod ha sparato e ucciso e, forse, le sue “ragioni” resteranno per sempre sepolte in qualche angolo remoto della sua mente dove un giorno, chissà perché, quella donna bionda, è stata condannata a morte. E si potrà certo pensare che il veleno del dibattito politico abbia pesato su un tale gesto. E forse lo ha fatto. Si potrà anche ritenere che la lista con i “bersagli da colpire” stilata da Sarah Palin e in cui c’era il nome della Giffords, fosse inopportuna e lontana da ogni senso democratico. E sicuramente lo è. Si potrà dire che il fatto che l’Arizona abbia dovuto, di fretta e furia, approvare una legge per impedire, ai funerali di Christina, la manifestazione dei rappresentanti della Westboro Baptist Church (famosa per le sue posizioni estremiste contro i gay e contro l’aborto) intenzionati ad esibire cartelli inneggianti a Jarod come “mandato da Dio per fare pulizia”, sia la conferma di quanto l’odio possa accecare la ragione. E non si correrebbe il rischio di sbagliarsi.

Si potrebbe dire molto e molto si sta dicendo in queste ore e si continuerà di certo a dire. E, forse, si abbasseranno i toni. E, forse, Glenn Beck e Sharron Angle e compagnia smetteranno di istigare alla violenza come soluzione “accettabile”, in alcuni momenti. O forse no.

Ciò di cui, invece, bisognerebbe, a mio parere, assolutamente parlare in maniera seria è la necessità di una politica che limiti il possesso delle armi, vera piaga di questo paese soprattutto in Stati come l’Arizona o il Texas.

Se un ragazzo con problemi comportamentali e mentali può recarsi in un negozio e comprare un’arma senz’altra ragione che quella di avere i soldi per farlo, allora non ci si può stupire di tragedie come questa.

E continuare a dire che avere un’arma serve a sentirsi più sicuri, ha lo stesso suono falso che dire che la pena di morte serve a ridurre il crimine. Sono molto felice, per quello, di vivere a New York dove persino il capo della polizia è sempre categoricamente risoluto a mantenere il rigido controllo sul possesso di armi.

Jimmy Sands del dipartimento dei Vigili del Fuoco di NY è volato a Tucson per salutare Christina con la bandiera americana dell’11 settembre sopravvissuta al crollo delle Torri. Quella bandiera, ancora una volta, testimone di una morte innocente, senza nemmeno la ragione del terrorismo. Solo quella della pazzia e di una pistola, comprata in un giorno qualunque, in un negozio qualunque da un giovane malato il cui sorriso inquietante non turberà, purtroppo, i sogni dei venditori di morte.

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