“Articolo21 ha deciso di assegnare il prossimo premio annuale per la libertà di informazione alla delegazione dei 12 studenti e ricercatori che sono stati ricevuti dal Presidente Napolitano”. Così l’Associazione Articolo 21, molto sensibile al tema della libertà d’informazione, ha voluto assegnare un significativo riconoscimento al movimento di studenti e ricercatori che il 22 dicembre scorso, alla fine di una bellissima manifestazione sulla tangenziale di Roma in uno scenario surreale quasi volando sopra la città, è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica. Perché mai un premio dall’associazione più impegnata per la libertà d’informazione? Che cosa c’entra la libertà d’informazione con la questione della legge sull’università? In realtà l’informazione, o meglio la disinformazione a tutto campo dei maggiori editorialisti nazionali, che forse qualcosa sanno e allora sono in malafede o che magari scrivono per sentito dire, e allora tradiscono il ruolo d’orientamento che dovrebbero avere, e la propaganda ministeriale amplificata dalla carta stampata e dalla televisione, hanno generato il tipico “rumore di fondo” che ha coperto quasi tutta la discussione pubblica sul merito della riforma Gelmini sotto una coltre di menzogne. Gli studenti e i ricercatori sono stati gli unici che, con grande maturità ed esemplare consapevolezza della situazione, hanno cercato di bucare, in tutti i modi, questa cappa di insulsi luoghi comuni e bugie. Non è stato certo un compito facile, ma data la situazione, è avvenuto qualcosa d’importante su cui è bene riflettere.

Il ddl Gelmini è stato difeso portando dati e argomenti falsi, ripetuti in primis, dal ministro stesso che ha ossessivamente ripetuto: è una riforma “per aprire le porte ai giovani”, “per limitare il potere dei baroni”, “per introdurre la valutazione ed il merito nell’università”, “contro l’auto-referenzialità dell’accademia”, contro “gli sprechi”, contro “parentopoli”, perchè “viene archiviata definitivamente la cultura del falso egualitarismo instaurato con il 1968”. Ognuna di queste parole chiave è stata usata per nascondere il contrario di quello che realmente succede: in prima approssimazione basta sostituire la parola “per” con “contro”, e viceversa,  e si ottiene un quadro più realistico. Ovviamente bisogna scendere nel dettaglio d’ogni slogan: questo è stato fatto dai ricercatori della Rete 29 Aprile con dei video ora disponibili sul loro canale Youtube.

Poi ci sono stati i difensori a prescindere dagli argomenti. Il ddl Gelmini è stato difeso perché “è una riforma necessaria”, “è l’unica riforma possibile”, “in politica si sceglie tra il peggio e il meno peggio”, “se la riforma non sarà approvata, i propositi di modernizzazione saranno abbandonati e prevarrà la conservazione dello status quo”. Questi sono i ragionamenti degli sconfitti a prescindere.

Poi ci sono le semplificazioni e le menzogne su chi si è opposto alla riforma: “difende l’esistente”, vuole “fare i propri interessi”, vuole “un avanzamento di carriera ope-legis”,  “è manipolato dagli intellettuali di sinistra”, “non ha proposto un’altra riforma”, “dov’era cinque, dieci, quindici anni fa, perché non protestava?”, ha comunque espresso solo il “disagio delle giovani generazioni; disagio per esprimere il quale la protesta contro la riforma universitaria ha rappresentato poco più che un pretesto”.

Si potrebbe compilare un lungo elenco con tutte queste falsità, con queste analisi superficiali fatte da persone che, nel migliore dei casi, guardano la realtà con i paraocchi dell’ideologia o della convenienza o di tutte e due messe insieme. Che invece di sforzarsi d’interpretare quello che succede, devono inserire quello che avviene in uno schema intellettuale a compartimenti stagni, predefinito, magari risalante a quarant’anni fa (gli studenti, la polizia, il sessantotto, Pasolini, l’ope-legis, ecc.) ma sempre e comunque  prescindendo dai dati di fatto.

Insomma un bel fuoco incrociato, anche perché opporsi al ddl Gelmini è stata una semplice necessità per chi ha capito di cosa si tratta (pochi) e per chi ha intuito quali possono essere le conseguenze per sé, per le nuove generazioni e per l’istituzione universitaria. E’ tuttavia  chiaro a molti, compresi a coloro che si sono opposti al ddl Gelmini, che difendere l’esistente è impossibile. Chi  però deve elaborare e proporre un’altra riforma? La risposta è molto semplice: il legislatore. E’ infatti compito del legislatore ascoltare le proposte che dal mondo accademico possono essere elaborate, discuterle, fare un’analisi accurata della situazione e programmare una riforma seria e di ampio respiro. E questo è esattamente tutto quello che il legislatore non ha fatto. O al più, in questa occasione, il legislatore ha ascoltato solo una parte del mondo accademico, quello che cerca di arrampicarsi sugli specchi pur di sopravvivere qualche altro anno nei posti di comando, quello che non si è mai posto la semplice domanda: che ne sarà delle nuove generazioni? In una parola, la  gerontocrazia dei quasi centenari diventati burocrati, che hanno in mano l’accademia e la ricerca, che dovrebbe guardare al futuro non solo di se stessi, ma del paese. Ma c’è stata anche un’ampia parte del mondo accademico, a partire dai ricercatori della Rete 29 Aprile, dai vari movimenti di studenti, da un consistente gruppo di professori associati, che invece hanno fornito idee, analisi e spunti di riflessione su come articolare un altro progetto di riforma. Non sono stati ascoltati: né dal Governo e né dall’opposizione, se non da quest’ultima piuttosto tardivamente.

Quello che è successo dunque è molto semplice. Il peggior ministro della storia repubblicana ha dato il suo nome alla peggiore riforma universitaria mai vista dal dopoguerra ad oggi. Non è un mistero che dietro questa riforma si celino interessi “forti” (Confindustria) di diverso genere, che comunque non hanno niente a che fare con l’università e la ricerca. I commentatori “indipendenti” selezionati dalla stampa nostrana hanno scritto pagine vergognose  che non si  dimenticheranno facilmente.  Quello che è più grave è che gli anziani, i colti, i saggi, a parte poche e sparute eccezioni, hanno abbandonato le nuove generazioni a se stesse.

C’è però ancora chi pensa e crede che “l’Università statale non sia un’istituzione da rottamare e regalare ai primi caimani che passano, ma un luogo fondamentale e irrinunciabile d’elaborazione e diffusione delle idee, una risorsa per lo sviluppo e un fondamento per la democrazia, una spina nel fianco per chi vede come il fumo negli occhi la cultura, il libero pensiero e un’autonoma capacità di comprensione”. C’è chi resiste ora perché ha un’idea del futuro e ha capito che l’università è uno dei problemi che investono oggi tutta la nostra società e che sono molto contigui, a partire dalla libertà d’informazione. C’è chi resiste e non è affatto detto che debba soccombere anche se la legge Gelmini è stata promulgata.

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