Andate, se non ci siete ancora riusciti, a vedere “We want sex”. Non è un film sul porno californiano – come qualcuno potrebbe dedurre dal titolo – ma una memorabile commedia che racconta con ironia britannica e il sapore del melodramma agrodolce, la storia vera, e quasi eroica, delle operaie inglesi della Ford in lotta per la parità di salario. Due notizie, per i non sindacalizzati e i non eruditi di storia del lavoro: contrariamente a quanto suggerirebbe il buonsenso, e per quanto possa sembrare inverosimile, fino al 1969, le donne, nel Regno Unito, erano pagate metà degli uomini, a parità di lavoro. E così il racconto inizia con lo spaccato di un mondo: la fabbrica che non esiste più, la comunità operaia al femminile, il lavoro nei capannoni in reggiseno e sigaretta, la dialettica complessa con il sindacato in pantaloni, quello degli uomini.

A me è successo, da un certo punto in poi, di ridere e di piangere. La commozione partiva dalla storia, ma anche dalla sua incredibile collisione con la realtà che stiamo vivendo. Venerdì si vota per il referendum a Mirafiori, si vota sotto il ricatto del prendere o lasciare, e quando – quasi a fine film – ascoltiamo il discorso del direttore della Ford alla ministra laburista (che, al contrario di Fassino, di Chiamparino e di tutti gli altri diminutivi dell’opposizione che non c’è, non si fa incantare), pare di sentire un copione scritto, parola per parola, dal pensiero unico marchionnemente scorretto che ha invaso i giornali: “Vogliono diritti? Ma noi non possiamo darglieli. E se loro insisteranno nel rivendicarli, caro ministro, vorrà dire che sposteremo la produzione altrove, e la responsabilità sarà vostra”.

Mi venivano in mente tutte le panzane che ci hanno raccontato sulla Fiat nell’ultimo anno: prima i 20 miliardi di investimenti promessi in Italia (curiosamente ne hanno annunciati solo 1 miliardo e settecento, ma non c’è uno straccio di riformista che abbia chiesto che fine abbiano fatto gli altri 18 che mancano all’appello). Prima ci hanno detto che bisognava chiudere Termini Imerese perché era un impianto immerso nell’arretratezza della storia siciliana. Poi hanno colpito Pomigliano, imponendo un contratto lacrime e sangue. E – non dico i partiti di centrodestra – ma i leader del centrosinistra (con l’unica eccezione di Vendola e Di Pietro) ci spiegavano: è vero, è una limitazione di diritti, ma è solo lì, a Napoli, perché dopotutto quelli sono terroni e non vogliono lavorare. E se si chiedeva a Bersani che indicazione di voto dava il suo partito, rispondeva così: “Penso che gli operai di Pomigliano sappiano cosa votare” (marchionnemente, nemmeno la sibilla cumana).

Quella di Pomigliano doveva essere un unicum, una sospensione delle regole provvidenziale e necessaria, che alla fine avrebbe favorito la classe operaia.

Non sono passati nemmeno sei mesi, ed è arrivato “il terzo caso unico”. Non più nel sud in cui tutto viene giustificato con stereotipi neorazzisti e paraleghisti, ma nel cuore della storia industriale italiana, a Mirafiori, nella fabbrica che (non secondo la Fiom!) per l’Unione industriali ha un tasso di assenteismo che è più basso della media di tutte le industrie del Piemonte. Scriverò in un altro post l’idea che mi sono fatto di questa operazione apparentemente incomprensibile. Qui invece voglio ritornare a una scena del film. Quando dopo mesi di sciopero le donne sono stremate, i mariti rumoreggiano, i sindacati vogliono mollare le neo-suffragette, perché il corporativismo rischia sempre di vincere sulla solidarietà. I dirigenti della Ford, ricorrendo alle schedature, vanno a caccia dell’“Anello debole”. Ovvero del modo per far tornare al lavoro almeno una delle scioperanti. Scoprono che una di loro ha un sogno segreto: fare la modella. Le propongono il servizio di lancio della nuova Escort, come testimonial, a patto che interrompa lo sciopero. Quando la leader della protesta lo viene a sapere, va a cercare l’amica nella fabbrica deserta, trasformata in un piccolo photo set per lei. Interrompe il servizio, le parla, dialogo drammatico. Poi dissolvenza. Sarà riuscita a convincerla? La scena riprende con la ragazza, coperta solo di una succinta pelliccia che torna sul set. Il direttore della Ford dall’alto della balconata sorride. Il fotografo pure. Ma la ragazza allarga la pelliccetta e…. sulla pancia c’è scritto con il rossetto lo slogan della protesta: “Equal pay”, parità di salario.

Ecco, le operaie britanniche quella battaglia la vinsero, e ti si stringe il cuore di tenerezza quando le vedi nei titoli di coda, le vere protagoniste, oggi diventate tutte indomite nonnine. Come sarebbe bello, se nel film che si deve ancora girare, raccontando di questo incredibile, ricattatorio referendum, scoprissimo che gli operai di Mirafiori, stremati da un anno di cassa integrazione (lavoreranno solo questa settimana, quella del voto, per benevolo incentivo dell’azienda) sono riusciti a non piegare la testa. Dipinti come fannulloni, ma in realtà affezionati alla loro fabbrica più dei padroni e dei manager che si sono avvicendati in questi anni. Costretti ora con il coltello alla gola, a dire sì ad un contratto che (molto democraticamente) cancella la rappresentanza dei sindacati che non sottoscrivono l’accordo (incredibile ma vero) e cancella le elezioni interne (incredibile ma altrettanto vero) anche per quelli che lo sottoscrivono: i delegati, se passa il sì, saranno designati dall’alto, come i nominati del parlamento, e non si voterà mai più nessuna rappresentanza.

Ieri, nella puntata di “In Onda” che abbiamo dedicato alla vertenza, c’era ospite Carlo Callieri, il dirigente Fiat che organizzò la marcia dei 40mila del 1980, che gridava a Giorgio Airaudo (il responsabile auto della Fiom) con una espressione terribilmente dickensiana: “Sarete sconfitti con un largo margine! Sarete battuti! Sarete cancellati dalla fabbrica!”. Il volto affabile del riformismo confindustriale, insomma. Ho sentito Airaudo, che era al mio fianco in studio, ruggire con un sorriso in volto: “Dottor Callieri! La Fiat nel 2004 l’abbiamo salvata noi. Quanto alla Fiom, c’era cento anni fa quando lei non era ancora nato, e per fortuna ci sarà anche fra cento anni quando lei non ci sarà più”. Marchionnemente, s’intende.

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