Un’inchiesta della magistratura contro ignoti, dicono le carte della burocrazia. Ma è una città intera, moralmente, a finire sul registro degli indagati. Una Bologna, come dice il direttore della Caritas Paolo Mengoli, a cui “manca un vero padre di famiglia”. In queste ore si sprecano gli stereotipi sulla civile Bologna che, forse, tanto civile non è più. O almeno non lo è quanto lo è stata trentuno anni fa, quando la gente lasciò le vacanze per tornare a casa e aiutare a scavare tra le macerie della stazione. Qualcosa è successo e non funziona come dovrebbe, perché un bambino di 20 giorni non può morire di stenti in Piazza Maggiore, al gelo, nel frigorifero con le pareti di vetro della Sala Borsa, come se fosse un acquario. Eppure quando la mattina del 4 gennaio Devid Berghi, questo il nome che ha portato nella sua breve esistenza, è stato raccolto da un’ambulanza non c’era già più niente da fare. Lui è morto per una crisi respiratoria. Morto e sepolto in silenzio, forse per la vergogna. Si sono salvati il fratellino gemello e la sorella, di un anno e mezzo più grande.

Una tragedia con pochi precedenti, nel salotto buono di una città, in quella stessa piazza che  ha visto 15mila persone festeggiare l’anno nuovo. Eppure in molti l’avevano incrociata quella famiglia, senza però soffermarsi a guardarla. Annamaria Cancellieri, nominata commissario prefettizio dopo le dimissioni da sindaco di Flavio Delbono, dice che era anche stato offerto aiuto alla madre, che però aveva rifiutato. Forse non un valido motivo per morire.

“Tristezza mista a rabbia”, dice Oliviero Diliberto, portavoce della Federazione della sinistra. “Ma che razza di Paese stiamo diventando se persino nella civilissima Bologna avvengono fatti simili? Cosa abbiamo fatto di male per arrivare a tanto? Pensavo di aver letto male, poi di aver travisato, infine, davanti all’evidenza della notizia, mi sono bloccato un attimo a riflettere e riflettendo mi sono chiesto se e quanta colpa ha anche la parte sinistra della politica, alla quale appartengo, quando avvengono fatti del genere. Mi sono risposto: tante”.

Forse la colpa non ha un colore marcato, è collettiva, prima di tutto. Poi di una macchina, quella del Comune di Bologna, con i servizi sociali sbandierati come fiore all’occhiello, che è inceppata da anni di malgoverno e dall’assenza di una guida politica. 5.300 dipendenti comunali, quasi un record, ma che non hanno mantenuto l’eredità di chi ha ceduto loro il posto: se l’Italia si scandalizza oggi è perché a Bologna qualcuno aveva costruito una rete di solidarietà e assistenza che oggi non esiste più. Pierferdinando Casini continua a ripetere che Bologna, è dai tempi di Giorgio Guazzaloca che non ha più un sindaco e un governo, “perché né i cinque anni di Sergio Cofferati né l’anno di Flavio Delbono possono essere considerati tali”. E c’è del vero, anche se i bolognesi col cuore a sinistra rammentano Renzo Imbeni come ultimo sindaco, poi il vuoto.

Annamaria Cancellieri, corteggiata dal Pdl per convincerla a candidarsi, dice che sono in corso accertamenti. In una breve apparizione davanti ai cronisti ha raccontato che “la madre era una povera donna che aveva sempre rifiutato aiuti e assistenza. In passato poi, ha spiegato il commissario, la donna aveva avuto altri due bambini che le erano stati tolti dai servizi e dati in affido”. E aggiunge: “In almeno due occasioni i nostri operatori avevano offerto aiuto alla madre di quei bambini, sicuramente il giorno di Capodanno, quando tutta la famiglia si era presentata alla Caritas per un pasto caldo, a San Luca. Ma la donna ha sempre rifiutato. Comunque dobbiamo fare ulteriori accertamenti sulle dinamiche”.

La famiglia era entrata in contatto anche con il servizio mobile dell’associazione Piazza Grande: “Da quest’estate venivano in stazione quando distribuivamo generi alimentari”, spiega il responsabile, Alessandro Tortorelli. Quello che non è chiaro, è se la famiglia avesse effettivamente una casa oppure no. Noi sapevamo che di giorno stavano in Sala Borsa ma non ci hanno mai detto di essere senza casa. L’attuale compagno della donna però ci aveva chiesto di avviare le pratiche per la residenza in via Mariano Tuccella (una via fittizia dove prendono la residenza i clochard bolognesi, ndr) e il 31 dicembre era tutto pronto per accoglierli nell’albergo di via del Pallone, ma hanno rifiutato”, spiega ancora il responsabile dell’associazione. Non sappiamo ancora da chi il 31 dicembre, cinque giorni prima che il bambino morisse, era stata fatta l’offerta. E se realmente era stata fatta. “Il problema è che lavoriamo per pezzetti e non c’è comunicazione tra i diversi servizi”, spiega Monica Brandoli del settore Sociale del Comune di Bologna. “Inoltre, di fronte a un’offerta d’aiuto che non viene accolta non sappiamo neppure come comportarci”.

Un ufficio che poteva fare qualcosa c’era, l’Ufficio Tutela minori: è partito con l’ex vice sindaco con delega ai servizi sociali, Adriana Scaramuzzino, magistrato minorile, e doveva fare da interfaccia tra Procura, Tribunale dei minori e Comune. L’ufficio non è mai stato reso operativo, né durante la fase Delbono, né col commissario Cancellieri.

Se la donne è stata seguita in passato, come ha ammesso il commissario, come è possibile che un persona già considerata in difficoltà, al punto da vedersi sottratti due minori, possa esporre i propri figli a pericolo di morte, a spasso con le temperature sottozero della città? Come mai non si è adottata una qualsiasi misura preventiva per tutelare i minori? Come mai non sono state predisposte delle misure anche forzate per tutelare chi non poteva difendersi? Sembra proprio che negli uffici pubblici qualcosa non abbia funzionato. Eppure quei bambini dormivano alla Sala Borsa, la biblioteca. Il commissario continua a dichiarare su ogni questione che “non vi sono i soldi”. Certo non ci sono i soldi e quelli che ci sono, a volte, sono spesi male.

di Emiliano Liuzzi e Antonio Amorosi

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