La Corte dei conti ha condannato la Rai al pagamento di una salatissima multa per l’editto bulgaro, per Michele Santoro e la sua squadra e per non aver consentito loro di proseguire nel loro lavoro, per altro graditissimo, anche allora, a milioni di spettatori.

Il tribunale di Roma ha disposto il reintegro di Tiziana Ferrario perché la sua cacciata dalla conduzione è avvenuta in modo irregolare, con una chiara motivazione discriminatoria, e senza che le sia stata assegnata una mansione equivalente, come prevede il contratto di lavoro.

Un altro tribunale ha disposto l’immediato rientro nel ruolo del direttore di Rai3 Paolo Ruffini che era stato allontanato “perché toppo bravo e destinato ad incarichi più prestigiosi”, solo che tali incarichi si erano dimenticati di individuarli, esattamente come nel film Tototruffa.

Oliviero Beha detiene ormai il record delle cause vinte, la Rai continua a far finta di nulla, quando vincerà di nuovo e, speriamo per lui, strapperà anche il doveroso indennizzo, qualcuno al settimo piano di viale Mazzini darà forse alle stampe un comunicato contro la Fiom, contro i comunisti, contro i tribunali rossi e via discorrendo con il più triste campionario dell’avanspettacolo berlusconiano,

Tanto per gradire, nei giorni scorsi, la Corte dei conti ha chiesto anche di sapere dal direttore generale perché mai l’azienda ha concesso liquidazioni d’oro e a tempo di record a due dirigenti che già stavano andando in pensione. In realtà quella buona uscita era funzionale alla liberazione dei posti da distribuire tra le correnti della maggioranza.

Potremmo continuare con questo lungo elenco, ma aggiungeremo solo l’ultima sentenza, quella con la quale il tribunale di Roma ha accolto l’esposto dell’Usigrai e della Stampa romana nel quale si contestavano alcune violazioni contrattuali e l’atteggiamento antisindacale. I due segretari Carlo Verna e Paolo Butturini, nel loro esposto, facevano riferimento alla mancata informativa aziendale in merito ai nuovi palinsesti e all’abolizione della terza edizione dei Tg regionali, un tema sul quale vi era e vi è una dura polemica.

Il contratto integrativo prevede l’oblio dell’informativa preventiva al sindacato e ai comitati di redazione, come è ovvio dal momento che attraverso i palinsesti possono passare le censure, le chiusure delle trasmissioni sgradite o anche i progetti di potenziamento e ridimensionamento aziendale, con le prevedibili conseguenze anche sul piano dell’organizzazione del lavoro e degli organici. Nel pieno di una accesa e infuocata discussione quei palinsesti furono comunque portati in Consiglio senza riferire che su quei progetti non vi era stata informazione preventiva alcuna. Per queste ragioni il tribunale di Roma, dopo aver ricostruito la vicenda, ha dato ragione al sindacato, ha condannato la Rai, ha rilevato per l’ennesima volta l’esistenza di un atteggiamento provocatorio, di una volontà di aggirare regole, leggi e contratti.

Di fronte all’ennesima tegola il direttore generale, nel silenzio del presidente Garimberti, non ha trovato di meglio che esibirsi in uno spettacolino condito di frasi senza senso e di insulti: “Siete come la Fiom, nessuno si accorgerà di voi”. Questa la migliore tra le perle, e questa merita una riflessione: se nessuno se ne accorgerà, come strepita Masi, perché fare tanto baccano, perché inveire e minacciare contro il nulla sindacale?

Il paragone con la Fiom svela un desiderio proibito, quello di essere equiparato a Marchionne. Ora noi non amiamo Marchionne, ma il solo accostamento a Masi ci sembra quasi una sorta di bestemmia nel tempio. Se non altro l’amministratore delegato della Fiat è riuscito a spaccare i sindacati, Masi, invece, è riuscito in un’impresa mai riuscita a nessuno tra i suoi predecessori: quella di essersi beccato un voto di sfiducia alla quasi unanimità da tutti i suoi giornalisti, di destra, di centro, di sinistra, credenti, non credenti, alti e bassi, tutti, ma proprio tutti lo hanno invitato a tornare a casa.

Le parole di queste ore, e le sentenze già arrivate, indicano che la Rai è ormai un’azienda fuori controllo, che sono saltate tutte le regole, e che si è determinata una situazione prefallimentare non solo dal punto di vista etico e politico, ma anche sotto il profilo più squisitamente imprenditoriale.

Le autorità di controllo e di garanzia hanno il dovere di intervenire e di mettere in sicurezza un patrimonio che, comunque la si pensi, riveste un pubblico interesse ed è ancor finanziato con i soldi dei contribuenti. Di fronte ad un crescente danno erariale e patrimoniale, le autorità hanno il dovere e l’obbligo di mettere fine ad una situazione penosa e pericolosa. Altrimenti dovranno farlo i tribunali e la Corte dei conti, e a quel punto a nessuno venga in mente di inveire contro il giustizialismo e la via giudiziaria: se e quando i giudici, anche in questo caso, dovessero sostituirsi alla politica e alle autorità di controllo, non sarà per una loro volontà di potenza, ma per la acclarata impotenza dei controllori.

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